Tommaso Cerno. Foto LaPresse/Roberto Monaldo

Il Cav. antipopulista? "C'è, come il buco dell'ozono". Parla Cerno

Marianna Rizzini

Il direttore dell’Espresso sul ritorno in campo di Silvio Berlusconi e l’Italia stanca dei movimenti antisistema

Roma. Silvio Berlusconi che torna e si presenta come paladino di un “manifesto antipopulista” (ieri, nella lunga intervista a questo giornale). Silvio Berlusconi che si propone, lo scriveva l’Espresso un mese fa, come “indispensabile alleato del Pd” (“meno male che Silvio c’è”, pensano forse sottotraccia molti dei suoi nemici di un tempo, di fronte all’avanzata a Cinque stelle). Il direttore dell’Espresso Tommaso Cerno, osservando il “nuovo” B., ricorre prima di tutto a un parallelo climatico: “Di fronte alla Terra soffocata dai gas abbiamo due soluzioni: o rimettiamo a posto le emissioni o troviamo un nuovo Archimede che sposti l’asse terrestre e riporti tutto indietro di duemila anni. E voler salvare una democrazia, che soffoca sotto i colpi dei propri errori, dicendo che Berlusconi può stare nel grande insieme di persone che hanno come unica caratteristica comune quella di opporsi al populismo, è come spostare l’asse terrestre, quindi impossibile, e alzare l’asticella di quella che consideravamo la democrazia, cioè la lotta fra diversi. Ma ci farà stare meglio questo?”.

     

Se continuiamo così, dice Cerno, “alzeremo sempre più asticelle. Alla fine dovremo fare come in ‘Harry Potter’: tutti quelli che non sono Mangiamorte vanno bene. Sarebbe una vittoria illusoria. Ma riconosco che una parte del mondo politico va in questa direzione, e che molti italiani la pensano così”. Eppure per il Berlusconi dato tante volte per sconfitto si prefigura un ruolo non secondario. “Bisogna prima chiedersi da dove sia nato il populismo”, dice Cerno, “e se sia qualcosa di endogeno o di esogeno alla democrazia. Il populismo è davvero questa astronave aliena di fronte alla quale Usa, Russia e Cina devono allearsi senza colpo ferire o è la pianta malvagia seminata dalla democrazia? Io dico che il populismo l’ha seminato tanto il proto-populista Berlusconi quanto la proto-populista sinistra, quella che ha fatto dell’antiberlusconismo una bandiera: una doppia deformazione della democrazia che abbiamo vissuto per vent’anni, una malapianta difficile da capire. E per capire bisogna tornare a vent’anni fa, quando B. ha cercato, con il suo disegno politico e la sua empatia, di interpretare un’Italia che non si sentiva rappresentata, avvicinando il Palazzo al popolo dopo Tangentopoli. Ha fatto passare l’idea che si potesse essere soltanto amici o nemici di un solo uomo – elemento, questo, che ha scardinato il sistema tradizionale, anche se poi B. ha governato attraverso e nel sistema. La sinistra invece ha detto: quello di B. è un potere assoluto, mentre noi siamo simili a voi popolo. Così facendo, però, ha cominciato a minare l’assioma delle democrazie per cui, nel momento in cui io vado a votare e ti do mandato di governarmi, esiste una differenza tra eletto ed elettore. E queste due distorsioni hanno lasciato enorme spazio a chi ha fatto da catalizzatore di malcontento nel grande campo dei delusi, quelli che non potevano più riconoscersi in nessuna delle due fazioni”. Da che cosa dipendeva la delusione? “Mentre ci si sfiancava nella lotta fine a se stessa tra B. e sinistra anti-B., nel mondo dell’economia e del lavoro si sentiva la crisi. Non solo: gli elettori avevano la sensazione che nulla dipendesse più dalle decisioni del Parlamento. Intanto però, sia B. sia la sinistra, avevano contribuito a iniettare nel corpo democratico il virus che ha creato come antidoto il mito della democrazia diretta ‘perché quelli fanno solo i comodi loro e intanto il paese muore’. Tanto è vero che l’Italia è forse l’unico paese al mondo in cui il partito cosiddetto populista, l’M5s, riesce a mettere insieme destra e sinistra, democrazia diretta e rabbia di piazza, carne e anima. Per questo la nostra piazza populista è molto più ambigua e resistente di quella francese”.

     

Con il proporzionale all’orizzonte, Berlusconi si colloca in un punto-chiave. “Credo che una forza politica che voglia far prevalere la democrazia per come l’abbiamo conosciuta debba perseguire il rispetto profondo delle regole comuni, l’alternanza e lo scontro di pensiero, perché la democrazia è conflitto di idee. La teoria per cui i numeri ci dicono che la medicina più facile è che la destra e sinistra – generatori di populismi a loro insaputa – abbiano la copertura antibiotica sufficiente nonostante la loro unione generi odio reciproco non mi convince, anche se nei numeri può oggi trovare riscontro. Io penso invece che, se vogliamo sconfiggere il populismo, si debba cercare il conflitto democratico reale fra i partiti, e proporsi ognuno con l’obiettivo di governare il paese con la sua idea dell’Italia. Fosse per me, sceglierei il male peggiore, che oggi è proprio la sana lotta democratica. A costo di perdere”. 

    

A Tommaso Cerno il Berlusconi di oggi non sembra cambiato nella sostanza, se non nel senso che “agisce come un ex monopolista che vuole ottenere i vantaggi che aveva prima, essendo però azionista di minoranza nelle aziende, nel calcio, in politica. Ma se la sinistra ci cade non vincono insieme, vince lui, e questo non me lo auguro”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.