Primarie 2017 del Partito Democratico (foto LaPresse)

Guardare il voto delle primarie per capire come è cambiato il Pd

David Allegranti

Non si può più parlare di regioni rosse, il voto democratico di sta "meridionalizzando". Parla Antonio Floridia, presidente della Società italiana di studi elettorali

Roma. Matteo Renzi è il nuovo capo della “Ditta”, per dirla in termini bersaniani. Ma la ditta, cioè il Pd, è cambiato, come si capisce dalla distribuzione geografica del voto alle primarie di domenica. Nelle regioni centrali, il partito di Renzi dimezza i suoi votanti. Vedi Toscana (dove passa dai 393 mila elettori del 2013 ai 210 mila di oggi) ed Emilia (da 415 mila a 216 mila). “Si continua a parlare di ‘regioni rosse’ ma è un termine assolutamente improprio”, dice al Foglio Antonio Floridia, presidente della Società italiana di studi elettorali. “Il Pd – come dimostra la geografia delle primarie – si sta meridionalizzando. In Toscana rimane ancora un residuo politico legato alla tradizione e agli amministratori locali. Ma queste primarie segnano uno spartiacque: una separazione netta tra l’elettorato tradizionale della sinistra e il nuovo partito; una separazione però che era maturata prima delle primarie. Il Pd, insomma, oggi è un’altra cosa. Ma non è neanche giusto definirlo ‘democristiano’, perché la Dc era una cosa ben più complessa: il Pd è un partito in franchising, nel quale contano le filiere di interesse; non solo e non tanto le clientele in senso volgare, ma i legami personali tra i gruppi dirigenti e vari segmenti sociali. E’ venuta meno la cultura organizzativa che era stata propria del Pci”.

 

E dunque cosa resta? “La struttura organizzativa, oggi, è fatta da una struttura gerarchica in cui c’è un capo e vari colonnelli, sergenti e caporali. E’ chiaro che così si perdono i vecchi legami e se ne creano di nuovi, di tutt'altra natura. In Toscana e nel resto dell’Italia ‘di mezzo’, per esempio, il voto era in gran parte un voto di appartenenza. Ora questo senso di appartenenza non c’è più. Per di più, in queste primarie, ha pesato anche la scarsa competitività della contesa”. La vittoria annunciata di Renzi le aveva dunque rese poco appetibili. Ma la scissione ha inciso o no? “No, non in quanto tale e immediatamente; ma la scissione, anche sentimentale, c’era già stata, perché l’identificazione partitica si è venuta progressivamente esaurendo. Una sorta di ‘lungo addio’, insomma, il Pd non la può più sollecitare e grosse fette dell’elettorato che vengono dalla tradizione politica della sinistra se ne stanno a casa. Ora bisogna chiedersi se, a sinistra, c’è qualche imprenditore politico in grado di riattivare quell’elettorato: così com’è, tutta la galassia alla sinistra del Pd non riuscirà a farlo”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.