Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il fronte No Grillo nasce con le primarie

Claudio Cerasa

Ai gazebo, gli elettori Pd voteranno il capo di un partito ma anche il futuro campo da gioco. Perché la compatibilità con il centrodestra è un punto cruciale per un leader che non vuole spingere la sinistra tra le braccia della Casaleggio Associati

Il punto in fondo è semplice ed è inutile girarci attorno: Berlusconi oppure Grillo? Certo: non lo si può dire esplicitamente, perché domenica prossima gli elettori del Pd voteranno più sul modello di leadership che sul modello di partito e daranno ovviamente vita a un nuovo referendum sul renzismo che questa volta dovrebbe concludersi con un plebiscito per il segretario uscente. Ma la realtà dei fatti ci dice che il vero succo della sfida tra i candidati alla guida del più importante partito italiano riguarda un tema cruciale accennato sia mercoledì sera nel dibattito televisivo sia ieri pomeriggio da alcuni pezzi grossi del Pd (Orlando e Zingaretti). I più superficiali, e forse più rozzi, sintetizzano il tutto con una semplificazione da notismo politico e immobilizzano la discussione chiudendo il discorso così: “Con la leadership del Pd, in ballo c’è la geometria delle alleanze”.

 

 

In realtà ciò che molti chiamano “alleanze” è qualcosa di più importante che riguarda non la politica dell’inciucio ma l’identità profonda di un partito. E complice la vittoria del No al referendum e la presenza di una legge elettorale ultra proporzionale (e se non vi piace, potevate pensarci prima), è naturale che la classe dirigente di ciascun partito debba educare i propri elettori a considerare non impossibile un’eventualità che non solo non si può escludere ma che bisogna persino preparare: la futura compatibilità con un altro partito per governare il paese. I tre profili di leadership che si affrontano alle (zzzz) primarie (Renzi, Emiliano, Orlando) fotografano bene quelle che sono le opzioni possibili per un partito come il Pd: Renzi non esclude che l’incontro possa essere con Berlusconi, Emiliano non esclude che l’incontro possa essere con Grillo, Orlando non esclude che l’incontro sia possibile (ma nel caso suggerisce di chiedere agli elettori di decidere per lui). Probabilmente l’esito delle primarie sarà senza storia (gli avversari di Renzi dicono che Renzi potrebbe arrivare al 70 per cento).

 

Ma il fatto che potrebbe esserci un plebiscito sulla figura di Renzi (il numero dei partecipanti è importante, sì, ma fino a un certo punto: le primarie dei socialisti francesi sono state un successo, 2.037.563 voti, ma il leader eletto alle primarie, Hamon, è riuscito a parlare al primo turno più o meno agli stessi elettori che hanno votato alle primarie, 2.291.565, e nulla di più) ci dice che gli elettori di sinistra hanno fatto un salto significativo rispetto al 2013, quando in campagna elettorale, prima di essere smacchiato, il segretario del Pd prometteva di smacchiare il giaguaro. E ci dice che hanno capito una cosa semplice: un partito riformista e non prigioniero del Novecento deve sì tentare di raggiungere la maggioranza dei seggi presenti in Parlamento ma deve anche prepararsi a non fare confusione tra avversari e nemici. “Non escludere” (parole di Renzi) un’alleanza con un centrodestra responsabile non è la definizione preventiva di un inciucio ma è la definizione preventiva (e onesta) di un perimetro oltre il quale non si può andare. Giuliano Pisapia, su questo tema, ha suggerito una chiave diversa e ha proposto al futuro segretario di costruire prima delle elezioni un’alleanza con il suo campo progressista. La proposta ha un suo senso (anche se nessuno sa ancora cosa sia il campo progressista, forse neppure Pisapia) ma ha anche qualche difetto: la legge elettorale non permette di costruire alleanze prima delle elezioni e dato che da qui alle prossime elezioni non ci sarà una nuova legge elettorale il discorso si chiude così (Renzi però fa male a sputazzare sulla sinistra a sinistra del Pd: un giorno per governare il Pd potrebbe aver bisogno persino di loro).

 

Non ci sarà una nuova legge elettorale, dicevamo, perché Renzi vuole andare a votare presto (Mattarella sa bene che il prossimo segretario non vuole che sia questo governo a scrivere la Finanziaria e la progressiva distanza che si registra tra Renzi e il governo sta emergendo bene sul dossier Alitalia); e perché questo Parlamento è consapevole che archiviato il maggioritario non ci si può che adattare a un sistema proporzionale che in fondo piace a tutti: piace a chi sogna un governo della nazione (gli anti Grillo) e piace a chi sogna un governo dell’altra nazione (gli in braccio a Grillo). Alle primarie di domenica, in fondo, si voterà anche su questo. E il fatto che gli elettori del più importante partito italiano sceglieranno (sembra) un leader che intende combattere il governo dell’altra nazione e bocceranno (sembra) un leader che vuole spingere la sinistra tra le braccia della Casaleggio Associati è una buona notizia.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.