La camera del Senato (foto LaPresse)

Così il proporzionale tira fuori il peggio di noi

David Allegranti

La sinistra riscopre le tasse, la destra vuole affondare i barconi e i Cinque stelle, con le loro contraddizioni, usano argomenti di estrema destra e di estrema sinistra. Ma quando ci sarà da formare un governo?

Roma. La sinistra riscopre le tasse; la destra descrive un’Italia invasa dai migranti e vuole affondare i barconi; i Cinque stelle, che contengono contraddizioni, adottano la tecnica del tergicristallo: usano argomenti di estrema destra ma al contempo anche di estrema sinistra, magari sugli stessi temi, come l’immigrazione. Laddove si dimostra che “il proporzionale caccia fuori il peggio di noi” (copyright di Carlo Cantore).

    

Con un sistema elettorale proporzionalista e una soglia così alta per governare in autonomia (quaranta per cento), si preferisce arrendersi alle identità, che prendono il sopravvento. D’altronde, come già avvertiva Massimo D’Alema nel 2005, in un’intervista a Repubblica, se si torna al proporzionale “ridiventa obbligatorio votare per un partito, e si indebolisce in modo drammatico il governo del paese, esposto al condizionamento e al ricatto delle singole forze politiche”. Interessante notare come dodici anni dopo sia proprio D’Alema ad aver approfittato del proporzionale per lasciare il Pd e partecipare alla fondazione dell’ennesimo partito di sinistra. Qualche settimana fa Angelo Panebianco sul Foglio aveva messo in guarda dai rischi del proporzionale. Ci siamo tornati “in una fase debolissima, affidandoci non ai partiti, come avveniva in precedenza, ma a piccole fazioni e camarille. Persino il Pd, che era l’unico partito forte e relativamente radicato, oggi è debole. Ma una democrazia rappresentativa non regge con la proporzionale. L’unica diga in difesa di una logica maggioritaria era Renzi; sconfitto Renzi, non può che dilagare la voglia di proporzionale. Si torna dunque alle contrattazioni tra forze politiche, ma in una situazione che non è più quella della prima repubblica”.

    

Dunque la sinistra si sposta ancora più a sinistra, e la destra ancora più a destra; l’importante è tutelare le proprie posizioni radicali, a vantaggio della rappresentanza. Pier Luigi Bersani e gli altri della sinistra-sinistra pianificano programmi elettorali con più tasse e l’introduzione della patrimoniale, nella certezza di trovare un elettorato di sinistra ben contento di far “piangere i ricchi”; Matteo Salvini un giorno sì e l’altro pure attacca l’Unione europea, e non solo, sui migranti. Ieri il segretario della Lega s’è scagliato in un colpo solo contro Boldrini, Saviano, Alfano e Papa Francesco sui “clandestini”, citando il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro: “Ong forse finanziate da trafficanti, vogliono destabilizzare l’economia italiana. So di contatti per un traffico che oggi frutta più della droga”. Salvini però si è dimenticato di citare anche la precisazione del procuratore, che da sola varrebbe trattati sui danni prodotti dal pasolinismo: “Però dovrei fare prima degli accertamenti”.

 

Ogni partito insomma radicalizza le proprie posizioni, evitando la contaminazione politica, tant’è che sia il Pd che i Cinque stelle rifiutano, almeno in questa fase di pre-campagna elettorale, di parlare di future (e inevitabili) alleanze di governo. Saranno costretti, se le regole del gioco resteranno queste, a parlarne dopo le elezioni, quando ci sarà da formare un governo e i numeri dei singoli partiti e gruppi parlamentari non basteranno: i propri ideali di purezza saranno radicalmente ridimensionati. Nel frattempo, bisogna accontentarsi di vivere in una democrazia delle echo chambers: camere dell’eco dove la gente legge, ascolta e vede ciò che possa essere rassicurante per le proprie certezze. Si cercano così conferme alle proprie credenze. “La segregazione fisica della popolazione in enclavi autoimposte, razzialmente omogenee, – scrive Christopher Lasch ne ‘La ribellione delle élite’ (Feltrinelli) – ha come controparte una sorta di balcanizzazione dell’opinione. Ogni gruppo ha la tendenza ad asserragliarsi nei propri dogmi. Siamo diventati una nazione di minoranze e a completare il processo manca soltanto che esse vengano ufficialmente riconosciute in quanto tali. Questa parodia di ‘comunità’, un termine molto usato, ma non esattamente compreso, comporta la presunzione insidiosa che tutti i membri del gruppo la pensino nello stesso modo”.

 

Lo stesso vale per la società e la politica italiana, che ha una sua specificità: in Italia le alleanze, soprattutto fra forze politiche contrapposte, finalizzate alla nascita di un governo, sono considerate un “inciucio”. Ma qualcuno direbbe mai che, in Germania, Cdu e Spd, stanno inciuciando da anni sulla pelle dei tedeschi? Forse solo Alessandro von Di Battista.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.