Virginia Raggi (foto LaPresse)

Casaleggio porta la bufala della democrazia diretta anche in Campidoglio

Marianna Rizzini

Il futuro, anche a Roma, si chiama piattaforma Rousseau. Virginia Raggi e il falso mito della disintermediazione. Parla il politologo e storico Giovanni Orsina

Roma. E’ il giorno numero uno di quella che la sindaca di Roma, Virginia Raggi, sul blog di Beppe Grillo definisce “rivoluzione culturale” della “democrazia diretta”. E già il medium è il messaggio: parla infatti sul portale unico del grande capo e non in Campidoglio, la sindaca, almeno non durante la conferenza stampa in cui oratore principale è il deputato del M5s Riccardo Fraccaro, ufficiosamente designato, a inizio anno, supporter “tecnico” di Raggi (decisione di democrazia non diretta, ma eterodiretta dallo staff targato Casaleggio Associati). Parlano anche l’assessore alla Roma Semplice, Flavia Marzano, e il consigliere comunale del M5s, Angelo Sturni. C’è una “proposta di delibera” per modificare lo statuto di Roma Capitale all’insegna della suddetta “rivoluzione culturale”. Si sognano petizioni online, abolizione del quorum di partecipazione per i referendum comunali, bilancio partecipativo. “Per il M5s il fine ultimo non è entrare nelle istituzioni e governarle”, dice un Fraccaro messianico, “ma lasciarle restituendo il potere al popolo attraverso gli strumenti di democrazia diretta, la cui introduzione cambierà il futuro di questo paese. E’ una rivoluzione dolce, semplice e pacifica… oggi così come lo conosciamo il sistema democratico non rappresenta più i cittadini, le forme con cui funzionano le istituzioni democratiche sono anacronistiche”. Non importa se ancora (per legge) funziona nell’altro modo, con la delega ai rappresentanti. Il futuro, anche a Roma, si chiama piattaforma Rousseau, evocata dal consigliere Sturni. Quando i cittadini “potranno dire la loro” capiranno “l’importanza degli strumenti di democrazia diretta”, dice anche l’assessore Marzano. Peccato che il M5s si sia trovato, pochi giorni fa, in quel di Genova, a sperimentare il rovesciamento della democrazia diretta, e proprio per mano del suo principale cantore Beppe Grillo (che ha defenestrato la candidata sindaca Marika Cassimatis, votata “dal basso”, e ora si trova indagato per diffamazione). Ma anche a Roma, sui temi Olimpiadi e stadio, la democrazia diretta è rimasta nel cassetto (ha deciso il sindaco, come sarebbe anche ovvio, e soprattutto Grillo, meno ovvio per il movimento degli “uno vale uno”).

“Cos’è, un pesce d’aprile in ritardo?”, è la boutade del senatore Pd Stefano Esposito. Ma il problema non è tanto Roma, quanto “l’utopia della democrazia diretta in sé”, dice al Foglio il politologo e storico Giovanni Orsina: “La piattaforma si chiama Rousseau non per caso. Il mito della disintermediazione non ce lo siamo certo inventato nel XXI secolo, come pure non è nata oggi la critica al fatto che la democrazia delegata preveda una trasmissione di sovranità: io cedo la mia sovranità a qualcun altro e di fatto la esercito soltanto ogni tot anni. E’ appunto un tema rousseauiano, e dirlo oggi è la scoperta dell’acqua calda: lo sappiamo dal 1700 che la democrazia rappresentativa è, nei fatti, soltanto un’approssimazione di ciò che promette: la piena partecipazione al governo della collettività, la non cessione del controllo”. Quando la democrazia delegata entra in crisi verticale di rappresentanza, dice Orsina, “quando cioè il cittadino vota un suo rappresentante ma lo considera un traditore o uno che si fa gli affari suoi, ecco che l’utopia della democrazia diretta rispunta. E sembra l’uovo di Colombo: invece di votare lui faccio io. La forza del M5s è proprio questa: la risposta sembra perfettamente razionale. Solo che è totalmente inapplicabile, come lo è sempre stata. Rousseau stesso immaginava la democrazia diretta in una piccola comunità svizzera, in cui i capifamiglia decidevano direttamente cose di immediato interesse, comprensibili da tutti”. Anche il dibattito sulla post-verità, dice Orsina, non è una novità: “Ne parlava, già nel 1935, lo storico olandese Johan Huizinga, storico olandese, nel libro ‘La crisi della civiltà’, e non c’era ancora Internet. Diceva Hiuzinga che di fronte alla perdita dell’oggettività, in un mondo sempre più complesso, la persona non superficiale si interrogava, studiava, approfondiva. La persona superficiale, invece, traeva la conclusione che tanto valesse farsi una verità a proprio uso e consumo”. Huizinga, dice Orsina, “descriveva già la post-verità: siccome la verità non è incontrovertibile, allora scelgo il plausibile che più mi piace. Ma questo fa saltare del tutto lo spazio pubblico. Invece la crisi dell’intermediazione e della democrazia delegata dovrebbe spingerci a rendere più robusti i meccanismi che impediscono che le decisioni finiscano in mano a chi non ha le competenze”.

 

Intanto, in consiglio comunale, il Pd abbandona l’Aula, non soddisfatto dalle risposte di Raggi sulla stabilità politica della giunta, mentre in Parlamento i dem si rimpallano la battuta: “Ma che davvero Casaleggio vuole privatizzare il Campidoglio?”.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.