Matteo Orfini (foto LaPresse9

Il tribunale boccia il Pd romano "modello" Orfini

David Allegranti

Accolto il ricorso di alcuni iscritti contro la riorganizzazione dei circoli decisa dal commissario: "Il compito non spettava a lui ma all'Assemblea" 

Roma. Il tribunale di Roma contro la gestione del Pd romano di Matteo Orfini. La Terza Sezione Civile ha bocciato la delibera del 2015 che riorganizzava l’attività politica del partito, commissariato dopo le vicende di Mafia Capitale. “Procederemo, in base alle verifiche e alla mappatura fatta, alla chiusura dei circoli cattivi e pericolosi. Ce ne saranno diversi”, disse Orfini annunciando il nuovo corso. Il Tribunale però ha dato ragione ad alcuni iscritti che hanno presentato ricorso contro la delibera. Ad adottare la decisione, secondo il giudice, è stato un organo incompetente, cioè la Direzione del Pd, che ha “meri compiti esecutivi”, e ha dato ragione a chi ha impugnato la delibera di Orfini.

 

Nella loro impugnazione gli iscritti spiegavano che la competenza in materia di “definizione dei principi essenziali per l’esercizio dell’autonomia da parte dei Circoli territoriali, ambientali e on line” era riservata all’Assemblea. “L’organo esecutivo - scrive infatti il giudice, Clelia Buonocore - ha inteso disciplinare materie esulanti dall’ambito delle sue attribuzioni, e riservate, invece, alla competenza dell’organo assembleare (nell’osservanza dei principi e delle disposizioni di portata generale provenienti da organi centrali o regionali)”.

 

In sostanza, la riorganizzazione del Pd non spettava a Orfini commissario del Pd, ma all’assemblea, pienamente titolata a farlo. “La circostanza che la delibera in contestazione sia stata adottata da organo incompetente vale di per sé a condurre al relativo annullamento”. Come se non bastasse (e come se non bastassero i debiti), il Pd romano è costretto a pagare quasi 19 mila euro di spese processuali. L’aspetto più interessante, come al solito, è quello politico (anche perché il percorso giudiziario è ancora lungo): Orfini si sarebbe dunque spinto oltre nei suoi poteri.

 

“In merito alla sentenza emessa dal tribunale civile sulla delibera di organizzazione del giugno 2015 - dice il Pd di Roma - giova ricordare che detta delibera non è più in vigore. Da dicembre 2016 infatti è stata emanata una nuova delibera – di cui il giudice non poteva avere conoscenza – che regola la nostra vita interna. Gli effetti concreti della sentenza sulla organizzazione della federazione e del congresso sono dunque inesistenti. Per quanto riguarda il merito della sentenza, la federazione si riserva di proporre appello”. L’appello servirebbe dunque solo a tutelare l’immagine politica della gestione Orfini o a evitare nuovi ricorsi contro la delibera successiva del dicembre 2016, nonché a evitare di pagare le spese processuali? La sentenza sembra già dire qualcosa anche sulle altre delibere. Il giudice infatti poteva fermarsi al primo profilo di illegittimità (l’incompetenza della direzione) e invece è entrato anche nel merito della delibera (numero circoli, struttura municipale), il che potrebbe incidere anche sulle decisioni successive.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.