Matteo Renzi durante il "Matteo risponde" dello scorso 15 marzo

Cos'è l'ossessione grillina che si legge nella nuova comunicazione di Renzi

David Allegranti

Dal "falco" Michele Anzaldi responsabile comunicazione della mozione congressuale al lavoro sui social. Tutte le tracce della svolta aggressiva dell'ex premier

Roma. “Abbiamo perso la sfida sul web. Abbiamo lasciato il web a chi è sotto gli occhi internazionali, a cominciare dal New York Times, in quanto diffusore di falsità”. Pochi giorni dopo la sconfitta al referendum, Matteo Renzi aveva individuato uno dei punti deboli della sua campagna elettorale e di comunicazione: la presenza in Rete, dove i Cinque Stelle sono storicamente forti, con blog e social molto seguiti, più alcuni spin-off che alimentano violenza verbale e bufale, come Tze-Tze e La Fucina, siti della galassia Casaleggio Associati. L’ex segretario del Pd, che in campagna elettorale per il referendum aveva già usato temi anti-casta, sta adattando la sua comunicazione al nuovo contesto; però, usando il linguaggio grillino, si rischia di assumerne pure i contenuti. E un conto è utilizzare strumenti efficaci – come quelli messi a disposizione da Internet, anche se l’apertura di un blog sembra arrivare fuori tempo massimo – un altro è farsi egemonizzare culturalmente dal gentismo.

 

“Pensare di battere i populisti scimmiottandone il populismo è una cavolata. O siamo altro, cioè riformisti, o abbiamo già perso”, avverte Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Pd, renziano, con un tweet. Le tracce di cambiamento verso una maggiore aggressività – seppure Renzi sia entrato in modalità ecumenica, per recuperare voti a sinistra e rimettere insieme le anime del Pd – sono varie. Negli anni di segretario e premier, Renzi ha avuto come portavoce Filippo Sensi, ex vicedirettore di Europa, modi garbati, preparato, qualche problema iniziale poi superato ad ambientarsi tra i codici del Granducato del gruppo renziano. Quando Renzi ha lasciato Palazzo Chigi, Sensi è rimasto con il nuovo premier, Paolo Gentiloni, e così il responsabile comunicazione della mozione congressuale di Renzi è diventato Michele Anzaldi, che Sensi chiama “il maestro” (i due si conoscono da anni). Deputato del Pd, ex collaboratore di Francesco Rutelli, Anzaldi è un falco, membro della commissione di Vigilanza Rai (lo scissionista Miguel Gotor ora ne chiede le dimissioni), molto critico con i vertici di Viale Mazzini.

 

Sui social, invece, il lavoro sta andando avanti da tempo, con un coordinamento fra alcuni account Facebook e Twitter vicini a Renzi. Tra questi ci sono “InCammino”, progetto di Simona Ercolani, nota produttrice televisiva, sposata con Fabrizio Rondolino, che ha preso il posto della campagna #BastaUnSì, e “Matteo Renzi News”. L’imprinting aggressivo era già stato sperimentato alla Leopolda del 2015, la prima con Ercolani alla regia, quando furono votati i peggiori titoli di giornale (un po’ come il giornalista del giorno sul blog di Beppe Grilo) e fu proiettato un video-rap per sfottere Brunetta. Ormai su alcuni social renziani si tende a seguire lo stile comunicativo presente sulle pagine social a Cinque Stelle. Gli hashtag, per esempio: #beppebugiardo #beppevigliacco. Gli stessi parlamentari ultra renziani, da Alessia Morani a Stefano Esposito passando per Alessia Rotta, a poco a poco si stanno attrezzando per essere più competitivi con i grillini e sfidare a colpi di tweet l’egemonia pentastellata sui social.

 

 

In questo contesto va considerato anche il cambio di comunicazione di Renzi. Cambio che registra una fase estetica – mercoledì è tornato su Facebook con uno dei suoi #matteorisponde, dove si è presentato per la prima volta vestito di scuro, senza camicia bianca e giacca blu, la divisa del renzismo – e una contenutistica. Durante la diretta per la prima volta ha messo in discussione il suo noto tecnoentusiasmo, quando un utente gli ha chiesto se si potrà mai fare una Silicon Valley in Italia: “No – ha risposto Renzi – perché la Silicon Valley ormai è andata, è quella roba là, non la puoi fare in modo diverso”. Poi, ha aggiunto l’ex premier, “noi si parla dalla mattina alla sera di start-up, bello-bene-bravo-bis, ma mi lasciate dire con forza che oltre alle start up bisogna dare una mano gli artigiani e i piccoli imprenditori. Le piccole e medie imprese sono la vera spina dorsale del nostro paese”. Infine un’altra sottolineatura negativa dell’Ue: “Più democrazia e meno burocrazia in Europa. Qui decidono tutto dei tecnocrati: iniziamo col dire che si va a eleggere il presidente della Commissione”. Come? Con le primarie, dice Renzi. Speriamo non con una votazione online su Bob, la piattaforma lanciata venerdì scorso al Lingotto per fare concorrenza al modello Rousseau del MoVimento 5 stelle.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.