Matteo Renzi (foto LaPresse)

Alberto Bianchi, avvocato del renzismo, contro le falsità del caso Consip

Annalisa Chirico

"Dietro all’attacco giudiziario c’è un disegno che punta a eliminare Renzi”, dice l'avvocato fiorentino

Roma. “Ha presente il sillogismo della Lubianka?”, la cronista è colta alla sprovvista. Lu-bi-an-ka: intende il famigerato quartier generale del Kgb russo? “Ogni volta che qualcuno evoca conflitti di interesse o  eufemistiche ragioni di opportunità lo fa in applicazione di quel sillogismo”, l’avvocato Alberto Bianchi è tipo notoriamente schivo e riservato. Esperto di diritto amministrativo, tra le quattro mura del suo studio legale, uno dei più prestigiosi di Firenze, nel febbraio 2012 viene firmato l’atto costitutivo della Fondazione Big Bang, poi ribattezzata Open, la cassaforte di Matteo Renzi. Di Open Bianchi è presidente, agli appuntamenti pubblici lo s’incontra di rado, se c’è se ne sta dietro le quinte, evita i cronisti, ma al termine di ogni manifestazione renziana le fatture dei fornitori arrivano dritte a lui. Dall’aspetto algido e austero, con un tocco di vanità testimoniato dai gemelli che esibisce ai polsi, ne possiede a iosa, Bianchi è il petalo pistoiese del cosiddetto “Giglio magico”, oggetto dei desideri di lobbisti e imprenditori bramosi di entrare nelle grazie del potere renziano. Dopo sessantadue anni trascorsi placidamente nel quasi completo anonimato, nella routine del contado, con un matrimonio annullato e zero figli, da qualche tempo il nome di Bianchi rimbalza prepotentemente sui giornali, Bianchi di qua, Bianchi di là… Avvocato, non le farà male tutta questa notorietà? “Non l’ho mai ricercata né voluta, m’incrocia mio malgrado”. Ci illumini sul sillogismo della Lubianka, la prego. ‘‘Funziona in tal guisa: tu sei nominato da Renzi in Open e Marroni da Renzi in Consip/tu sei nominato legale di Consip da Marroni/ergo tu fai gli interessi del nominante (Renzi) in Open e Consip. Anzi, in Consip anche quando ti occupi di Open, e viceversa. Gli interrogatori degli oppositori al regime sovietico si svolgevano secondo analoghi sillogismi, la conclusione sta già tutta nelle premesse, le prove invece stanno a zero”. Lei è un professionista noto, ha ereditato la fama e i clienti di Alberto Predieri (tra i massimi esponenti della scuola giuridica fiorentina), nel 2001 Giulio Tremonti la nomina liquidatore del carrozzone di Stato Efim, insomma lei è un uomo di mondo: come può negare che la vicinanza all’ex premier le abbia recato qualche vantaggio sul piano professionale? “Io dico che si alimentano sospetti infondati in assenza di qualunque prova oggettiva. Facevo e faccio l’avvocato, spero di continuare perché è il mestiere che amo. Vogliamo parlare del fatturato del mio studio? Tra il 2012 e il 2016 abbiamo avuto alti e bassi, un andamento discontinuo, il trend in costante ascesa è solo nelle fantasie di qualche giornalista male informato”.

 

Ieri sul Corriere della Sera Antonio Polito ha portato il suo caso come esempio di malcostume politico: il ragionamento del vicedirettore è che, se Bianchi raccoglie fondi per Renzi, dovrebbe cessare ogni rapporto di lavoro con un’azienda come Consip che assegna appalti pubblici. “Polito è un giornalista che continuerò a stimare. Ha tutti i mezzi, ritengo, per comprendere che le domande fondate sul sospetto o, se vuole, sulla mera illazione aprono praterie sterminate a chi desidera inquinare ogni sistema di relazione. Il commento che sembra suggerire prudenza di comportamenti dà la stura all’inarrestabile cultura del sospetto onnipervasivo, anticamera della tirannia. Ovvio che se io rubo devo essere punito, se favorisco un’impresa in cambio di incarichi devo risponderne. Ma ciò va dimostrato, e nel mio caso, essendo il tutto destituito di ogni fondamento, ci si limita a instillare il dubbio, a diffondere la diceria malevola, a offuscare la mia reputazione”. L’Espresso che si è più volte dedicato a lei come “all’uomo che sussurra a Matteo Renzi”, “la testa pensante del Giglio magico, il più intelligente del mazzo e il consigliere più ascoltato”, ha spiattellato i suoi compensi in Consip pari a 290 mila euro di cui 80 mila assegnati da Marroni, l’ad nominato da Renzi che ai pm napoletani avrebbe denunciato “ricatti e pressioni” da parte dell’entourage renziano per l’aggiudicazione di un appalto.

 

"Conosco l’inchiesta per le notizie propalate dai giornali che mi paiono più informati delle stesse parti coinvolte. Mi lasci dire che la violazione del segreto istruttorio desta allarme perché danneggia le indagini e mina alle fondamenta lo stato di diritto. I punti oscuri nelle indagini mi sembrano più d’uno ma è giusto che la giustizia faccia il suo corso, non spetta a me pronunciarmi. Nel merito posso soltanto dire che non nutro il minimo dubbio circa la specchiata onestà del signor Tiziano Renzi, il suo nome non può essere accostato a presunti traffici illeciti. Il tempo lo risarcirà dell’infamia di questi giorni”.

 

Lei conosceva tal Carlo Russo? “Io credo di avere una modesta conoscenza del cosiddetto Giglio magico, così come delle persone gravitanti attorno. Questo signor Russo non l’ho mai visto in vita mia né ho sentito parlare di lui fino all’inchiesta”. Invece lei conosceva Alfredo Romeo, finanziatore di Open per 60 mila euro: “Quel contributo risale a quattro anni fa e da quattro anni è consultabile in rete. Peraltro proveniva, per l’esattezza, da Isvafim, società di cui Romeo è  azionista di controllo. L’ho incontrato una sola volta quando Alfredo Mazzei, vicino alla Fondazione Mezzogiorno di Napolitano, mi accompagnò da lui. Avevamo bisogno di risorse per realizzare la prima Leopolda. Qualcuno pensa che la politica sia gratis?”.

 

I soldi ricevuti da Romeo non li avete restituiti. “E perché avremmo dovuto? Isvafim non aveva pendenze giudiziarie e all’epoca Romeo aveva soltanto un procedimento in corso, concluso con una assoluzione piena. Non abbiamo ritenuto di dover restituire i soldi a differenza di quanto abbiamo fatto con la Cooperativa 29 giugno di Buzzi che ha donato 5 mila euro. Una volta emersa la situazione giudiziaria del Buzzi, abbiamo convenuto che fosse doveroso rendere la somma versata. Ho diverse qualità ma mi manca la sfera di cristallo all’atto della donazione, solo in un secondo momento, se emergono ragioni giudiziarie o di altro tipo, il regolamento prevede che il presidente possa proporre al consiglio la facoltà di restituzione. Inoltre, per policy interna, Open non accetta contributi da aziende o enti pubblici o parapubblici, tutte le sue entrate (e uscite) sono sottoposte al vaglio di un revisore legale e di una società di certificazione terza”. Dopo l’abolizione del finanziamento pubblico, le fondazioni politiche sono proliferate, per Beppe Grillo sono una manna dal cielo per le lobby. “Non mi sembra che il metodo di finanziamento grillino rifulga di luce, anzi mi pare un po’ oscuro, quel che è certo è che la politica costa, pure quella a cinque stelle. Il finanziamento privato non è il male assoluto, l’importante è che sia corrisposto in modo trasparente. La trasparenza non è una modalità assoluta indipendente dalla legge. Nel nostro paese la normativa sulla privacy consente al finanziatore di una fondazione di non essere disclosed senza un’esplicita autorizzazione. Open si attiene alla legge vigente. Cambino la legge e ci adegueremo”. E che mi dice delle famigerate lobby? L’hanno definita il “mediatore ufficiale tra il mondo dei renziani e quello delle lobby dei poteri forti”. ‘‘Quando leggo certe ricostruzioni mi domando se il mestiere del giornalista sia quello di raccontare il mondo com’è o come vorrebbe che fosse. I gruppi di interesse esistono, è un fatto fisiologico in una società aperta e democratica. Ricevere soldi da un privato non significa mettersi al suo servizio ma esporsi a un rischio che può essere evitato. A me piace camminare in montagna, quando mi avventuro lungo una via ferrata so che potrei farmi male. La vita è un rischio da mane a sera, non bastano però i sospetti per dimostrare che qualcuno abbia ceduto al rischio di corruzione”. Lei è in attesa di riconferma nel board Enel, a nominarla è stato il governo Renzi. “Mi ha designato il ministro del Tesoro, su indicazione dell’allora presidente del Consiglio. Sa perché hanno scelto me in quel ruolo? Anzitutto perché sono una persona di cui chi mi ha nominato si fida, in second’ordine perché sono  un professionista con skill ed esperienza riconosciuta. Non sono queste le caratteristiche richieste quando si tratta di ricoprire incarichi per i quali non è previsto il concorso pubblico?”.

 

Da quando lei è assurto a figura chiave della squadra renziana sono in molti ad avvicinarla per chiederle favori e aiuti? “Sfido chiunque a provare che io abbia mai agito in modo men che lecito e corretto. Vivo tranquillamente del mio mestiere, non ho bisogno di Renzi né lui di me, evito con cura i luoghi dove potrei essere bersaglio di richieste improprie. Qualche volta è capitato e ho saputo rispedire le richieste al mittente. Forse la voce si è diffusa, sanno come  sono fatto e mi cercano in pochissimi”. Il pizzinogate, attorno al maxi appalto Consip, tira in ballo i rapporti tra magistratura e politica. “Ho l’impressione che dietro all’attacco mediatico e giudiziario ci sia un disegno evidente. Si spara a casaccio, indistintamente, su Carrai, Lotti, Boschi, Tiziano Renzi, Bianchi e chissà chi altro, per impedire a Matteo Renzi di tornare a fare il segretario Pd o il premier ricorrendo a modi e mezzi che con la battaglia politica leale, financo aspra, non hanno nulla a che spartire”. Non sarebbe la prima volta nella storia italiana. “Certo che no, Tangentopoli ha segnato in modo traumatico i rapporti tra politica e giustizia. Consegnandoci un paese in cui la separazione dei poteri, teorizzata da Montesquieu, è messa a dura prova. Quando la politica arretra, si espande il perimetro della burocrazia di cui la magistratura fa parte. La lotta politica per via giudiziaria nei confronti di Silvio Berlusconi è stato il più lungo, e sciagurato, tentativo di delegittimazione. Più i suoi sfidanti tentavano di delegittimarlo, più gli italiani lo votavano. Chi di delegittimazione ferisce di delegittimazione perisce”. Lei proviene da una tradizione Dc, suo padre, nel segno dello scudo crociato, è stato presidente della Cassa di risparmio di Pistoia e Pescia. Le piace questo Pd? “Io non mi occupo di tatticismo partitico, ho votato Dc, come diceva Montanelli, a volte turandomi il naso, altre volte con entusiasmo. Oggi sto con Matteo Renzi”. Il quale sembra nel bel mezzo di un autentico accerchiamento mediatico-giudiziario. “Si è formata una coalizione eterogenea in cui ciascuno porta il proprio mattoncino all’obiettivo comune: espellere dalla scena pubblica un corpo vissuto come estraneo. Matteo infastidiva al momento dell’ascesa repentina (troppo repentina, per qualcuno) e ha infastidito successivamente per il modo in cui ha esercitato il potere di governo. Troppo deciso, troppo accentratore, poco ecumenico, poco curiale, poco inclusivo. Si è giunti a discettare della sua dubbia capacità di governare persino argomentando sui chili in eccesso, sulle smorfie o sui maglioncini. Roba che tra cinquant’anni, quando si ricostruirà con maggior distacco la storia dei nostri giorni, i bisnipoti mica ci crederanno”.

 

L’ex premier ha riconosciuto di aver commesso alcuni sbagli. “E’ sincero, lo ammette in pubblico e in privato. Ciò non toglie che sia in corso un tentativo di delegittimazione, interna e esterna al Pd, con una stampella giudiziaria e una mediatica, la faccenda dovrebbe inquietare tutti, inclusi i suoi avversari, invece esalta qualcuno”. Per Lucia Annunziata Renzi è stato colto “nella più vecchia delle trame del mondo politico, il familismo”. “Ho letto la critica del direttore e, francamente, mi pare del tutto priva di appigli fattuali. Voglio dire: Tiziano Renzi ha forse ricevuto qualche incarico cosiddetto di potere? Affrontiamo pure il tema di questo benedetto Giglio, magico o nero che sia. Chi ne fa parte? Nella corsa elettorale a sindaco di Firenze, Boschi e Bonifazi appoggiavano Michele Ventura, io stavo con Lapo Pistelli. Qui di familismo non v’è traccia. Quanto alle nomine nella pubblica amministrazione, le decide la politica, funziona così in tutto il mondo. Negli Usa si dice che sono usate for the payment of political debts. In Francia vige il meccanismo degli emplois à la discrétion che coinvolge circa 700 tra le più alte cariche burocratiche. E da chi sono ricoperti nella Repubblica federale tedesca i gradi più alti dell’amministrazione se non dai politische beamte?  Matteo Renzi, come Berlusconi, Prodi, Monti e Letta prima di lui, si è assunto la responsabilità di fare delle nomine. Si giudichi se abbia scelto persone di valore oppure no”. Lei gliene ha suggerite diverse? “Io posso fornire consigli se e quando me li chiede, niente di più. Il punto è la qualità del management designato da un capo di governo che ha interrotto troppo presto il mandato. C’è qualcuno che raccogliendo informazioni in Enel o a Palazzo Chigi o altrove possa dire che i nominati da Renzi abbiano fatto meno che l’interesse generale o della società in cui sono stati indicati?’. Diversi esponenti della sinistra dem invocano le dimissioni di Lotti indagato per rivelazione del segreto istruttorio. “La presunzione d’innocenza vale fino al terzo grado di giudizio, qui siamo ancora a inchiesta in corso, con accuse, quelle a carico di Lotti, che mi paiono frutto di dicerie e niente più. Lotti è una persona onesta, il tempo sarà galantuomo”. Non abbiamo ancora parlato di Marco Carrai: lei e Renzi siete stati suoi testimoni di nozze. “Qui a Firenze capita che un futuro marito chieda a due amici di fargli da testimoni di nozze. Lo so, è pazzesco sposarsi e ancor più cercare i testimoni senza indire un concorso pubblico. C’è una differenza ontologica tra questi toscani e le persone normali…”.

 

Lei scherza ma prenda Carrai: non ha incarichi pubblici, meno appare e più si parla di lui. “E’ l’altra faccia della medaglia, una gigantesca invasione della privacy a puro scopo scandalistico, senza rispetto per l’intimità e per la vita famigliare. Che dire, è il prezzo dell’amicizia leale”. Lei andrà al Lingotto? “Penso di sì, mi aspetto che emerga un programma di governo per l’Italia che verrà”. Con Matteo Renzi premier. “E’ l’energia di cui il paese ha bisogno. Bastano poche idee-forza per ripartire”.

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