Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Perché il modello D'Alema è il miglior alleato possibile del nulla cosmico grillino

Claudio Cerasa

L’esplosione del sistema politico, e la sua violenta frammentazione, non è un modo per fermare l’ondata populista, ma rischia di essere un modo per alimentarla. Vuoto grillino e Max: una bella storia d’amore, da seguire

Nel mondo della politica c’è una deliziosa coppia di fatto che prima o poi dovrebbe avere il coraggio di uscire allo scoperto, di manifestarsi in pubblico e mostrare al mondo l’inevitabilità del suo amore. La nuova perfetta, e indicibile, coppia della politica è formata da Massimo D’Alema e da Beppe Grillo. E seppure a prima vista sia complicato mettere a fuoco le ragioni della passione tra l’ex premier scissionista e il capo del Movimento 5 stelle in realtà non ci vuole molto a capire che in questa fase storica non esiste miglior alleato del modello D’Alema per alimentare il modello Grillo. La questione, naturalmente, non è personale ed è ovvio che D’Alema e Grillo abbiano molte e importanti differenze tra loro (D’Alema per esempio fa un buon vino, Grillo non ancora). Il ragionamento è più sottile e riguarda la ragione per cui, anche grazie al modello D’Alema, il Movimento 5 stelle potrebbe trovare lo spazio per resistere sulla scena nazionale nonostante le incredibili e acclarate prove di incapacità mostrate finora in tutte le realtà politiche in cui ha messo in campo le sue attitudini di governo. Il Movimento 5 stelle è il nulla atomico e come tale è costretto a circondarsi di figurine inutili per dare al suo vuoto assoluto una parvenza ideologica ed è normale che quando la politica arretra ci sia qualcuno chiamato a riempire quei vuoti.

 

A Roma il sindaco della Capitale (auguri di pronta guarigione) ha fatto del suo meglio per consegnare ai romani e agli italiani l’immagine del nulla atomico, e non ci si può stupire se il vuoto cosmico abbia collezionato figuracce su figuracce mostrando la sua incapacità a governare e vedendosi costretta a delegare di volta in volta a qualche soggetto esterno il governo della città (Marra, Romeo, la Casaleggio Associati, Grillo, lo studio Sammarco, i tassisti, gli ambulanti, i Berdini o più semplicemente gli algoritmi). Il miglior nemico del vuoto grillino, come dovrebbe essere evidente, è un sistema politico in cui i leader che si contrappongono ai professionisti dell’immobilismo provano a mettere in campo delle proposte concrete non per sfiancare ma per sfidare il nulla a cinque stelle. E’ lo stesso principio dei mercati aperti e delle liberalizzazioni: la concorrenza genera competizione, la competizione genera efficienza, l’efficienza migliora i prodotti, i prodotti migliori vengono apprezzati dal consumatore. Con il No al referendum del 4 dicembre – e qui veniamo a D’Alema – gran parte del sistema politico italiano ha scelto di combattere il populismo non con l’arma della competizione, o dell’aggregazione, ma con quella della rigida divisione, rassegnandosi all’idea che per spegnere il fuoco grillino non sia sufficiente mettere in campo un progetto alternativo forte, e potenzialmente maggioritario, ma sia necessario, invece, cambiare le regole del gioco, disperdersi, accerchiare il nemico – con l’illusione che siano le alleanze del futuro il modo migliore per combattere i populismi del presente. La logica della frammentazione è da sempre un punto forte della dottrina D’Alema e la divisione del Pd non è solo diretta conseguenza del No al referendum ma viene da lontano, da uno schema preciso che suona più o meno così: un partito di sinistra non può vincere le elezioni giocando con la vocazione maggioritaria ma deve farlo dividendo in due il campo da gioco. Nel caso specifico, dividere in due il campo da gioco significa prevedere uno schema ispirato ai principi del proporzionale, in cui i progressisti vanno da una parte e i moderati dall’altra. E’ la vecchia disputa sul trattino, la differenza tra centrosinistra scritto così e centro-sinistra scritto così, ma all’origine della divisione del Pd oggi c’è anche questa idea, perfettamente interpretata da D’Alema: per essere tale, la sinistra non può fare le cose di centro, e per restare se stessa ha bisogno di differenziarsi dal campo moderato e di concentrarsi piuttosto sulla federazione del campo progressista. La ragione dell’incompatibilità tra la sinistra alla Renzi e la sinistra alla D’Alema è anche questa, e le logiche della divisione del fronte progressista in fondo si spiegano anche così.

 

Tutto questo non è per tornare a parlare di scissione ma è per spiegare perché grazie al modello D’Alema – rifiutare la vocazione maggioritaria, aborrendo la competizione e promuovendo una divisione del sistema politico per accerchiare i populismi di ogni genere – le forze anti sistema potrebbero avere una vita più lunga del previsto. La frammentazione del panorama politico di solito apre la strada a quello che Leopoldo Elia chiamava il multipartitismo esasperato e non c’è migliore alleato di un partito anti sistema di un sistema frammentato e ingovernabile.

 

Ha scritto bene venerdì scorso su questo giornale un importante manager italiano di tradizione migliorista, Alberto Irace: “Non condivido l’idea di chi pensa di resistere all’onda delle forze populiste cercando marchingegni elettorali che ostacolino la possibilità per tali forze di giungere al governo. Queste forze, invece, dovrebbero misurarsi con la complessità e la durezza dei problemi, col governo ed essere giudicate per questo. Un simile approccio rischia di alimentare la narrazione delle élites che si difendono e resistono chiuse a riccio e finendo così col fornire argomenti e carburante alle posizioni demagogiche. Si finirebbe, peraltro, col tenere nella trappola delle coalizioni dei veti le forze riformiste. Per togliere ossigeno al populismo l’unico modo sono le riforme e la crescita. Lavorino per muovere in questa direzione le forze che si battono anche in Italia contro chiusure e protezionismi. Soprattutto si lavori a rendere chiaro agli elettori su cosa devono scegliere costruendo offerte politiche coerenti. Toccherà poi agli elettori decidere”. D’Alema non lo sa, ma l’esplosione del sistema politico, e la sua frammentazione, che è la negazione della competizione, non è un modo per fermare l’ondata populista, ma rischia di essere un modo per alimentarla. Auguri e figli Raggi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.