Carlo De Benedetti (foto LaPresse)

Le elezioni nel 2018 e le false priorità della politica. Intervista a Carlo De Benedetti

Claudio Cerasa

Chiacchierata con l'Ingegnere su cosa fare nei prossimi mesi per evitare di immobilizzare l'Italia

Roma. “Mi guardo intorno e mi pare che in Italia, anche nel dibattito politico, si sia persa una coscienza realista della situazione economica del paese. Assistiamo a un dato molto positivo, quello della bilancia commerciale, che dimostra che c’è un’Italia che lavora, esporta e dunque un’Italia molto competitiva. Avere una bilancia commerciale positiva e poco sotto il 3 per cento del pil è infatti un dato straordinario che per esempio la Francia ci invidia, essendo la sua negativa. Purtroppo però l’elenco di note dolenti è lungo e pesante: se incominciamo dai numeri, è nota la dimensione del nostro debito pubblico, che continua a salire sia in percentuale rispetto al Pil sia in valore assoluto”. Senza una svolta chiara e immediata, dice al Foglio Carlo De Benedetti, imprenditore, editore del Gruppo Espresso, i prossimi mesi rischiano di trascinare l’Italia all’interno di un vortice pericoloso e per capirne la ragione è sufficiente mettere insieme i puntini.

 

“Se ci spostiamo sul ‘conto economico del paese’, ovvero il pil, purtroppo cresciamo in maniera del tutto insoddisfacente. Accanto a questo, naturalmente, c’è il problema dell’occupazione e di quella giovanile in particolare, per non parlare della situazione del Mezzogiorno, che sembra essersi congelata, oltre ovviamente alla fragilità del sistema bancario. Se infine ci spostiamo sul quadrante della politica, mi pare difficile trovare elementi di rassicurazione. Oltre al fenomeno (nuovo per l’Italia) di un probabile tripolarismo, il proliferare di divisioni e partiti incoraggiati da una legge elettorale di cui sembra nessuno in Parlamento si occupi, ma che per certo sarà super proporzionale”.

 

L’insieme dei fattori italiani mescolati a quelli europei porta l’Ingegnere ad augurarsi che il governo possa lavorare fino alla scadenza naturale della legislatura. Ma più che concentrarsi sul quando, dice CDB, occorre concentrarsi su cosa andrebbe fatto, da qui ai prossimi mesi, per evitare di immobilizzare l’Italia. “Questa situazione oggettiva che abbiamo descritto, al di là dei liberi orientamenti di ognuno di noi, porta a prevedere per dopo le elezioni (che io mi auguro avvengano nel 2018) una situazione di stallo in Parlamento e i mercati,  che già ci hanno suonato il campanellino di allarme sullo spread, ce lo faranno sentire in modo più fragoroso. Se a questo aggiungiamo il raggiungimento del 2 per cento di inflazione in Germania e comunque un aumento dell’inflazione in tutta l’Eurozona, sarà probabile l’inizio del tapering da parte della Bce. Circostanza questa particolarmente pesante per l’Italia visto che, data l’entità del nostro debito pubblico, un semplice mezzo punto di aumento dei tassi significa, a regime, 11 miliardi all’anno di maggiori oneri”.

 

Sulle riforme più urgenti, invece, Carlo De Benedetti centra alcune priorità: “Credo che oggi non sia difficile individuare i provvedimenti che dovremmo essere in grado di assumere per evitare il ‘bivio della morte’, ovvero l’uscita dall’euro o l’arrivo della Troika. Tuttavia, comunque la si prenda, occorrerebbero misure forti, impopolari che solo una solida coalizione di governo con altrettanta solida rappresentanza parlamentare potrebbe attuare. Non mi pare che questa sia una condizione a oggi prevedibile. A tutto questo si aggiunga, per quanto riguarda lo stato della nostra società, un diffuso malcontento/malessere che certamente trova le sue ragioni nella disoccupazione giovanile, nella situazione del Mezzogiorno, nella bassa crescita, nelle prospettive che singolarmente chi è fuori dal sistema non riesce a vedere. Il Movimento 5  stelle, a mio parere, raccoglie per gran parte questo scontento e ne è diventato una sorta di ‘rappresentanza sindacale’, tenuto conto che i sindacati tradizionali si occupano solo dei loro iscritti (lavoratori dipendenti e pensionati)”.

 

“Sappiamo tutti – continua CDB – quanto sia più facile raccogliere il malcontento che non risolvere i problemi che quel malcontento ha generato. Purtroppo, non mi sembra di intravedere che da parte della politica in senso ampio ci sia un’attenzione ‘attrattiva’ nei confronti dell’area dei legittimi scontenti. Mi pare che il paese viva un po’ in una ‘bolla’, in cui prevalentemente si parla di altro ma non si concentrano le migliori energie per dare un diverso orizzonte di speranza”. Il movimento unhappiness, è il ragionamento di CDB, può essere fronteggiato solo da una politica coraggiosa che accetta di difendere i valori del libero mercato, del riformismo, della concorrenza, dell’Europa, evitando di rincorrere i populisti. E da questo punto di vista non c’è migliore alleato per il fronte dell’infelicità che una politica immobile che pensa più all’algebra e ai giochi di palazzo che alle riforme.

 

“Rispetto alla situazione patrimoniale, economica e sociale dell’azienda Italia – continua CDB – è evidente che non esistono facili soluzioni e soprattutto non ne esistono di rapide. L’obiettivo non dovrebbe essere generico ma realistico e su un orizzonte pluriennale. Non mi sembra tuttavia che la politica sia proiettata su questa visione: assistiamo più a frazionamenti e discussioni con la nostra stessa pancia rispetto a quanto la classe dirigente nel paese nel suo complesso dovrebbe porsi con la necessaria urgenza e determinazione”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.