Matteo Renzi alla Leopolda (foto LaPresse)

“Non un reddito, ma un lavoro di cittadinanza”. Il Foglio a colloquio con Renzi

Michele Masneri

L'ex premier da San Francisco: “Dobbiamo dare un messaggio di sveglia, non di rassegnazione”

San Francisco. Matteo Renzi è al suo secondo e ultimo giorno in California, eccolo che esce dal glorioso hotel Fairmont sul cucuzzolo di San Francisco e si dirige a Palo Alto per incontrare la vedova di Steve Jobs, dopo aver incontrato il ceo Tim Cook e il cfo romano Luca Maestri e il numero uno di Airbnb Brian Chesky. Rispetto ai classici giri delle sette chiese siliconvalliche è un Renzi 2.0, in fase riflessiva, rispetto al viaggio trionfale di tre anni fa, in versione presidente del Consiglio. Oggi Renzi corre lo stesso, senza essere immortalato con runner cubani o guardie del corpo, senza il contorno iconografico, esce alle 7 e torna nella porta rotante del Fairmont e dice che ha fatto 15 chilometri, “oltre il Golden Gate e ritorno”, gli si crede, poi va al banco e paga il checkout, il roccioso concierge di colore gli stringe la mano e gli dice “torni presto a San Francisco” e lui risponde che no, sarà difficile nei prossimi tempi. Intanto nell’hotel sanfranciscano c’è una specie di strana convention, ci sono signore in pantacollant, ragazzi vestiti da pellerossa, alcuni con tute della Nasa. Surrealtà. Tra questi, che non lo riconoscono, un Renzi (accompagnato da Marco Carrai e Giuliano Da Empoli di Volta) in versione privato cittadino, brizzolato rispetto alla visita imperiale di tre anni fa.

 

Non è vero, dice, che abbia chiesto udienza a Trump. È un viaggio privato e dunque non scende neanche a North Beach dove i bar e i droghieri italiani ancora hanno le sue foto in vetrina tra i tortellini. A questo giro ha incontrato soprattutto professori più che startuppari, è stato a Stanford, ha visto l’inventore della “fine della storia”, Francis Fukuyama, chissà se ha fatto autocritica. Soprattutto ha parlato con Enrico Moretti (University of California, Berkeley) della fine del lavoro. Si è attardato a cena con l’economista esperto di trasformazione industriale, massima autorità sul tema di tecnologia e posti di lavoro (in meno). Mentre sta per rientrare in Italia (volo di linea, via Parigi, bagaglio a mano), Renzi non vuole parlare di politica italiana.

 

“Il punto chiave su cui stiamo riflettendo – dice al Foglio – è se puntare solo sull’innovazione non sia stato un errore”. “Che l’innovazione porti a riduzioni dei posti di lavoro, che ci sia rischio di una jobless society, è a questo punto chiaro”, dice. Dal Jobs Act alla jobless society, dunque. “Dobbiamo stare attenti a trovare delle formule e delle modalità di risposta a questo rischio. E però tenendo conto che l’innovazione crea comunque delle opportunità. È successo con la stampa, è successo con la rivoluzione industriale. Questo è ‘il’ punto centrale”. Dunque innovazione ma con juicio, e pare che Renzi identifichi il percorso di Silicon Valley, quel misto di talento e roboanza e gambling, col suo percorso politico personale; e dunque la critica di un modello industriale forse è anche metaforica e psicoanalitica se stesso.

 

Chi lo conosce dice che la Silicon Valley è sempre stata il suo sogno, per lui questa è la terra promessa, l’unica America possibile, la East Coast non esiste. Chi ironizza che sia venuto qui in ritardo non capisce. Lui viene qui comunque. Adesso, con la crisi di questo modello, con Silicon Valley messa in minoranza in un’America grillina, viene qui non in pellegrinaggio ma in ascolto. Non più dunque “San Francisco è la capitale del futuro”, come diceva tre anni fa coi bagni di folla e l’ambasciatore sotto la scaletta. “Innovazione ma anche società aperta, inclusione, dialogo, identità” ci dice invece adesso, come a se stesso, un mantra. “L’identità non è una parola che possiamo lasciare alla destra”, ci dice ancora. “Di questo abbiamo discusso anche a cena con Luca Maestri e con Federico Faggin –  l’italiano che ha inventato il microchip, nda – e con Moretti”. Nell’Italia che discute se Uber sì o Uber no, mentre qui a San Francisco si attendono gli autisti-robot e si decide se tassarli o no, Renzi pensa a una terza via anche sul welfare tra umano e robotico. “Io dico una cosa diversa. Il tema non è il reddito di cittadinanza, che vuol dire dare a tutti dei soldi. Il tema è porre la condizione per avere un lavoro, se perdi il lavoro devi avere un paracadute che ti dia un sostegno economico che sia vincolato alla formazione professionale per rimettersi in gioco”. “Il ruolo dello stato è quello di offrire occasione di lavoro: è un lavoro di cittadinanza, non un reddito. E soprattutto il punto chiave è che dobbiamo dare un messaggio di sveglia, non di rassegnazione”. Parla a se stesso, forse. Poi va verso il suo aereo, col suo trolley. Lo attendono quindici ore di volo, l’Italia, e le scissioni del Pd. Nessuno lo invidia.

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