Il governatore della Toscana Enrico Rossi e Michele Emiliano (Foto LaPresse)

Passeggiate romane

Gli scissionisti del Pd hanno un problema: c'è davvero vita fuori dal Pd?

Redazione

Nonostante l'unità di facciata gli anti-Renzi sono tutt'altro che uniti. E la loro fuoriuscita dal partito dipende anche dalla legge elettorale

Matteo Renzi la definisce una partita a scacchi. È quella che sta giocando con la minoranza di Pier Luigi Bersani. Il gioco, per quanto riguarda il segretario del Partito democratico, non è tanto quello di evitare la scissione – visto che il segretario è convinto che qualsiasi cosa potrà dire o fare “loro faranno sempre più uno”, cioè porranno ulteriori condizioni – ma di consegnare il cerino nelle mani della premiata ditta Emiliano-Bersani-Rossi. A loro l’onere della rottura, a loro l’onere di dover spiegare all’elettorato e ai militanti del Pd che hanno rotto perché volevano due mesi in più per fare il congresso.

 

Ma il trio scissionista a cui Renzi vorrebbe alla fine affibbiare il famoso cerino, nonostante l’unità di facciata, è diviso. Michele Emiliano è pronto a uscire dal partito, convinto com’è di essere “l’unico argine possibile al grillismo imperante”. Bersani, se fosse per lui, rimarrebbe nel Pd ancora un po’. Se non altro il tempo di vedere come va a finire. Il governatore della Toscana Rossi, invece, vorrebbe restare punto e basta. Ma l’accelerazione degli eventi ha costretto il trio a fare fronte comune, almeno per il momento. Perché poi, commentano tutti nel Partito democratico, le strade dei tre si divideranno.

 

Peraltro, c’è un problema non da poco riguardante la scissione che verrà. Bersani lo ha perfettamente presente, Michele Emiliano un po’ meno. Riguarda la legge elettorale che verrà. Se non si dovesse cambiare niente – ed è questo quello che minacciano i renziani – al Senato, dove il Consultellum prevede lo sbarramento dell’otto per cento, difficilmente una forza scissionista riuscirebbe a portare un gruppo.

 

Si dirà allora che sarà possibile farlo alla Camera. Ma si trascura un particolare. A sinistra sta già nascendo qualcosa: il campo cui sta mettendo mano Giuliano Pisapia. L’ex sindaco di Milano, però, ha già fatto sapere di non essere interessato non solo a dare vita a una formazione con D’Alema e Bersani, ma nemmeno ad averli come interlocutori privilegiati. Pisapia, nonostante quello che si va dicendo ogni giorno, è ancora convinto che occorra confrontarsi con Matteo Renzi. La sua futura formazione politica, perciò, rappresenta un problema per gli scissionisti perché rischia di sottrarre loro dei voti.

 

Eppure c’è chi, come Roberto Speranza, continua ad andare avanti facendo finta di niente. L’ex capogruppo del Pd va dicendo in giro che la scissione è cosa fatta e che il gruppo che vedrà la luce dalla rottura interna al Pd sarà ben nutrito. Per questa ragione, da qualche giorno si riunisce in gran segreto con Arturo Scotto, il presidente del gruppo di Sel che ha rotto con Nicola Fratoianni e con Nichi Vendola. Speranza ha promesso a Scotto di riuscire a portare in dote almeno una quindicina di deputati. Da parte sua, Scotto ha assicurato di essere in grado di far uscire dalla pattuglia di Sel a Montecitorio dai 14 ai 18 deputati. Tutto a posto, quindi? Manco per sogno, perché sia Speranza sia Scotto (anche se quest’ultimo sostiene di tifare per Pisapia) guardano a Massimo D’Alema, e con loro una gran parte dei futuri transfughi del Partito democratico e di Sel. Una gran parte, appunto. Non tutti. Perché una fetta, quella più giovane meno legata alle tradizioni, ha come faro Pisapia il quale – come è noto – non vuole avere niente a che fare con l’ex ministro degli Esteri. Il che vuol dire che quando scissione sarà o, meglio, quando scissioni saranno, invece di formarsi un unico nuovo gruppo c’è il forte rischio che se ne formino due.

 

Insomma, a sinistra nessuno ha ancora capito come si faccia a unire le forze. Sinistra italiana è divisa. E, come si è detto, il trio Emiliano-Bersani-Rossi è solo momentaneamente unito. Rossi si accontenterebbe di un posto da senatore del Pd nella prossima legislatura, Bersani si accontenterebbe di non essere più superato dai suoi quarantenni (da Speranza a Stumpo passando per Chiara Geloni). L’unico invece che nutre sogni di gloria e che si vede già al comando di una coalizione di centrosinistra vincente è Michele Emiliano. Il presidente della regione Puglia ha però un grosso problema: quel 18 per cento di consensi ai sondaggi che lo inchioda alla sconfitta. Tutta colpa del fatto che da Bari in su l’elettore di sinistra non sembra particolarmente colpito dal piglio di Emiliano.