Virginia Raggi (foto LaPresse)

Grosso guaio a 5 Stelle

Perché inizia il conto alla rovescia per la fine di Virginia Raggi a Roma

Marianna Rizzini

Il sindaco di Roma sei ore dai pm. Il caso della polizza vita porta acqua al mulino della nemica Lombardi. Chat e veleni

Roma. Partendo dalla fine, nella Roma del caos a Cinque Stelle, c’è soprattutto il terrore. Terrore coreano (da Corea del Nord) di essere inceneriti dal commento dell’ex amico delatore o del non amico ligio ai diktat del quartier generale. Terrore inatteso di finire in pasto ai telegiornali e agli attivisti inferociti su una Rete ora “matrigna” almeno quanto è stata benigna per il Movimento degli esordi. E’ il giorno dell’interrogatorio di Virginia Raggi, indagata per falso e abuso d’ufficio, e dai siti dell’Espresso e del Fatto quotidiano comincia a correre sul web la notizia di un altro pasticciaccio su cui indagano i magistrati: qualcosa che aggrava, se possibile, la spaccatura tra fazione-Raggi e fazione-Lombardi, dal nome della deputata che avrebbe preferito vedere Marcello De Vito candidato sindaco e che non nasconde le critiche alla prima cittadina. Spunta dunque la storia della “polizza sulla vita” (“a sua insaputa?”, è il ritornello del Fatto e di Twitter) che l’ex capo di segreteria del sindaco, Salvatore Romeo, ha stipulato, indicando Raggi come beneficiaria, nel gennaio 2016, mesi prima che diventasse sindaco, mentre infuriava lo scontro interno per le candidature: si era infatti alla vigilia delle “Idi di marzo” grilline, per parafrasare il titolo del film di George Clooney sulle primarie americane, e Marcello De Vito, ex candidato sindaco del M5s nel 2013 nonché candidato di Lombardi, veniva sconfitto da Raggi forse anche perché, è l’altro sospetto dei magistrati, gli avversari di De Vito, su impulso di Raffaele Marra, avevano fatto circolare un falso dossier in cui De Vito si macchiava di illegittima richiesta di accesso agli atti (accusa poi caduta).

 

Nel giorno dell’interrogatorio di Raggi, la questione-polizza piomba come il macigno definitivo sulla lotta interna senza pace – scrive Emiliano Fittipaldi sull’Espresso: “…Qualche mese dopo la strana operazione finanziaria (le polizze vita in genere vengono fatte a favore di parenti, mogli e figli) è proprio la Raggi, diventata da poco sindaca di Roma, a promuovere Romeo triplicandogli lo stipendio.…Difficile, per ora, dare una risposta esauriente alla curiosa operazione finanziaria. Anche perché Romeo …ha investito circa 100 mila euro su una decine di polizze vita. I cui beneficiari, ancora una volta, non sono parenti e cugini, ma altri soggetti. Tra cui politici e altri attivisti del movimento…”.

 

Ma se il falso e l’abuso d’ufficio, come accuse pendenti sul sindaco, parevano in qualche modo fino a ieri gestibili almeno dal punto di vista giudiziario, è difficile che non abbia effetto politico, sulle platee puriste del M5s, il martellamento che già giovedì correva per le vie del web sul “poteva Raggi non sapere della polizza?”. “Un effetto politico prima che giudiziario”, dice Gianluigi Pellegrino, avvocato esperto di casi controversi nella Pubblica amministrazione: “Se Raggi, per uscire politicamente dall’empasse conseguente alle accuse di falso e abuso d’ufficio, può in qualche modo appellarsi al proprio noviziato di cittadino semplice che si ritrova sindaco – anche se certo sarebbe stato meglio scusarsi immediatamente per l’incauta nomina di Renato Marra a capo del dipartimento del Turismo, puntando sulla propria inesperienza, invece di sostenere, anche con l’Autorità anticorruzione, di ‘aver fatto tutto da sola’ – nel caso della polizza, se provato, l’evidente conflitto d’interesse metterebbe Raggi in estrema difficoltà prima di tutto di fronte ai propri elettori”. Ieri, poi, si diffondevano in Rete anche le parole della chat pubblicata da AffariItaliani, chat precedente alle elezioni comunali, in cui Raggi e altri esponenti del Movimento parlano (male) di De Vito e Lombardi: “A volte mi chiedo se lei faccia pace col cervello prima di parlare”, scrive Raggi, e la pubblicazione e diffusione della frase segna il punto di non ritorno nella lotta tra eserciti grillini romani contrapposti, ché, nel gioco circolare di accuse e controaccuse, Lombardi, con la senatrice Paola Taverna, è stata una delle prime accusatrici di Marra, definito, a inizio settembre, e all’indomani delle dimissioni a catena nella giunta Raggi, il “virus che ha infettato il Movimento”.

 

Sempre Lombardi, a metà dicembre, all’indomani dell’arresto di Marra, su Facebook, prendeva a prestito una frase di Martin Luther King per commentare il fatto: “La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vanagloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta”. Ma alle spalle c’erano già mesi di scontro sotterraneo, poi emerso all’esplosione del caso Muraro, con coinvolgimento laterale di Luigi Di Maio (il quale, era l’accusa degli attivisti e di alcuni colleghi, “non poteva non sapere” a che punto fosse il caso Muraro stesso, e non poteva non aver letto la mail in cui il mini-direttorio romano, Paola Taverna in testa, lo informava che l’ex assessore all’Ambiente Muraro era indagata). Soprattutto, l’ultimo atto dello scontro tra fazioni romane porta al ribaltamento del mondo a Cinque Stelle per com’è stato fino a oggi: il mezzo di comunicazione amico – il web – s’è fatto non soltanto nemico ma persino carnivoro, da quanto rapida è stata la Rete, in questi giorni, a divorare e restituire, con contorno di commenti esacerbati, inaciditi, increduli e spaccatutto le informazioni emerse dal dossieraggio incrociato che va in scena da mesi sotto al Campidoglio.

 

E il fatto che il sindaco debba spiegare ai magistrati perché ha scelto l’ex capo del personale Raffaele Marra come manager di fiducia, e perché, sulla nomina a capo del dipartimento del Turismo di Renato Marra, fratello di Raffaele, abbia sostenuto anche davanti all’Anticorruzione di aver fatto tutto da sola, diventa amplificatore di un coro di domande già assordante. Al di là di quello che risponderà ai pm, infatti, Raggi si trova già accerchiata dall’interrogativo: chi è davvero il sindaco? (su Repubblica del 25 gennaio, Carlo Bonini già le toglieva la corona di eterna ingenua: “…al procuratore aggiunto Paolo Ielo non potrà raccontare né la storiella di lei, sindaca nel paese delle Meraviglie, né di avere scarsa dimestichezza con il diritto amministrativo (in fondo, è un’avvocatessa cresciuta alla scuola Previti-Sammarco)”. Sullo sfondo, i leaks dalla chat dei “Quattro amici al bar” (Raggi, Daniele Frongia, Salvatore Romeo e Raffaele Marra) diventa canovaccio per battibecchi internettiani costanti. Come se ne esce? Patteggiando? Autospendendosi? O, come chiedono sottotraccia i Cinque Stelle ortodossi, invocando un intervento di Beppe Grillo “a tutela dell’immagine del Movimento”? 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.