Michele Emiliano e sullo sfondo Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Emiliano e D'Alema, la scissione del Pd e altri animali fantastici

Salvatore Merlo

Forse, come dicono gli uomini di Renzi, è solo “una contrattazione levantina per essere ricandidati al prossimo giro”. Ma ammesso che sia tutta una sceneggiata, la recita ha un che di convincente 

Roma. E forse è davvero solo un gioco di specchi e di violenti sott’intesi, “una contrattazione levantina per essere ricandidati al prossimo giro” come sostengono gli uomini di Renzi quando in Transatlantico sorridono sornioni, fanno spallucce, “di scissione se ne parla quando qualcuno finalmente se ne va”, dice infatti Ernesto Carbone, con il tono liquidatorio delle cose ovvie. Eppure, ammesso che sia tutta una sceneggiata, la recita ha un che di convincente. E allora eccoli, nei capannelli, in Parlamento, eccoli finalmente i deputati della sinistra, e non solo della sinistra del Pd ma anche quelli di Sinistra Italiana, Arturo Scotto e Nicola Fratoianni, Massimo D’Attorre e Stefano Fassina, l’insondabile Nico Stumpo e Roberto Speranza, eccoli che si rimpallano impressioni e suggestioni, richiami e imbonimenti, “sarebbe un grave errore sottovalutare il rischio di una scissione nel Pd”, dice a un certo punto il senatore Stefano Lai. Ed è tutto un rotolare di parole, e ipotesi, e sogni, e paure, e attese… “ma li hai visti ieri sera i sondaggi di Porta a Porta?”, chiede uno a Fassina, che appoggiato al muro del corridoio laterale di Montecitorio sembra scettico ed euforico insieme, “possiamo ricominciare oltre il renzismo? No. Nelle riflessioni di chi è finora rimasto nel Pd ma critica Renzi vi è un enorme rimozione politica: l’Unione europea e l’euro”. Ma forse sono dettagli, chissà, di fronte alla suggestione che circola e accelera il metabolismo di tanti: un partito scissionista della sinistra, a sinistra del Pd, guidato da Massimo D’Alema, avrebbe tra l’11 e il 14 per cento dei voti, almeno così dicono Ipr e Techné.

 

Ah, i sondaggi! Sondaggi mala bestia! Possono servire, possono spaventare un segretario ammaccato e in cerca di consensi dentro e fuori del suo partito, ma possono anche illudere, spingere un manipolo di scontenti in cerca di rielezione a violare la regola d’oro e non scritta dello scissionismo, che da tempo immemore si declina all’incirca così, come disse una volta, e con estremo disincanto, Ugo Sposetti, senatore, tesoriere dei Ds, vecchio incoercibile comunista: “L’unica scissione buona è quella che si minaccia, ma non si fa mai”.

 

E allora Pier Luigi Bersani, con in volto i segni dell’esperienza, sembra volersi attenere alla regola dell’allusione, del dire e non dire, “non minaccio la scissione, ma non garantisco nulla. Porrò delle questioni e sentirò la risposta”. E infatti solo D’Alema, in pubblico e in privato, protagonista assoluto d’una congiuntura di smodata esuberanza da quando spiega che “ho vinto il referendum”, senza l’ombra di un dubbio e d’un rimpianto s’agita e batte i pugni contro il petto come faceva King Kong, tutto proteso com’è a un abbraccio con Michele Emiliano, il presidente della Puglia che lo inquisì ai tempi della missione Arcobaleno (ma che poi lui contribuì a far diventare sindaco di Bari), il fenomeno politico del mezzogiorno italiano che non da oggi coltiva sogni in technicolor, su rete nazionale, più Rai Uno che Tele Norba. E infatti non è certo un caso se, per prenderlo bene e rabbonirlo, per farsi rispondere alle domande anche più sbarazzine, con Emiliano i giornalisti crudeli si rivolgono spesso così: “Pronto, parlo con il prossimo presidente del Consiglio?”.

 

Ambizioni, esuberanza, furbizia politica, dunque. Forse persino troppa furbizia, perché davvero questa strana coppia, Emiliano e D’Alema, D’Alema ed Emilliano, l’orso e il ballerino, possa credere alle virtù balsamiche d’una scissione, a uno di quei meccanismi della politica che raramente porta fortuna e che più spesso è stato invece l’anticamera della rovina e dell’irrilevanza. “Emiliano gioca e ci prova, conquista spazio, mentre D’Alema sta praticando lo stesso schema del 2009”, dice uno dei più vecchi amici (rinnegati) del leader baffuto. “Ve lo ricordate quando creò la fondazione Red, una specie di partito nel partito con il quale minacciava il segretario di allora, Veltroni?”. Anche quella scissione non si fece. Ma lui tornò a galla. Per un po’.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.