Roberta Lombardi, deputata ed ex presidente del gruppo parlamentare del M5s, e Virginia Raggi, sindaco di Roma (foto LaPresse)

Da Taverna a Raggi (e ritorno), chi sono le donne-simbolo dei 5 stelle

Marianna Rizzini

Ogni fase della storia del M5s ha il suo personaggio femminile di riferimento. Evoluzione, involuzione e rivoluzione del movimento: sindaci, nuove sortite ribelli e figure di lotta e di governo

Noi, non voi, abbiamo diciassette donne su trentuno come capolista. Noi, non voi, abbiamo altissime percentuali di donne giovani e laureate tra i nostri eletti. Noi, non voi, candidiamo le donne a qualsiasi carica. La storia dei Cinque stelle e le donne era partita così: come dichiarata manifestazione di superiorità anti casta, anti soffitti di cristallo e anti discriminazione nei giorni in cui, tra il 2012 e il 2013, il Movimento del “vaffa” e di Beppe Grillo inondava la rete di video e facce sconosciute. Quelle dei protagonisti delle “parlamentarie”, anche definiti, allora, dal comico Maurizio Crozza, per via di una certa propensione per il de minimis, “difensori di pinoli nel pesto genovese”, fabbricatori di “paté di olive” impegnati anche “nel teatro Kabuki” e creatori “ventriloqui” di colla di baccalà biodegradabile. Tuttavia, in quel mondo online e autoripreso dal tinello di casa, spiccavano candidate di ogni età e professione meno fissate dei colleghi uomini con il chilometro zero e il detersivo fatto in casa e la stampante che crea dal nulla come neanche la bacchetta magica e il dentifricio che non inquina e la lavapiatti multitasking. Apparivano candidate “dal basso” come i colleghi, le donne a Cinque stelle, ma più pragmatiche rispetto al forzato vagheggiamento della decrescita felice che elimina come d’incanto la complessità del mondo e della politica.

Fatto sta che quando, nel febbraio del 2013, la nuova pattuglia parlamentare di sconosciuti sbarca in Parlamento, un generale “cherchez la femme” si diffonde tra le schiere di cronisti assiepati davanti all’improvvisato quartier generale della vittoria, un hotel nel quartiere San Giovanni di Roma, dove subito viene scelta, come volto casuale della vittoria, la giovanissima Marta Grande, deputata. Curiosità e stupore si diffondono, poi, quando il Palazzo accoglie le neoelette deputate e senatrici, consegnando alle telecamere e ai microfoni (sempre presenti e sempre apparentemente rifuggiti dal M5s sotto stretta osservazione della Casaleggio Associati) i volti di Paola Taverna e Roberta Lombardi, espressioni diverse di una romanità “de panza”. Quasi quattro anni dopo, sempre a Roma, è tutta un’altra storia. C’è, sì, un sindaco-donna a Cinque stelle neanche quarantenne, Virginia Raggi, eletta con il 67 per cento dei voti. E c’è stata, sì, la momentanea soddisfazione del desiderio “eleggiamo la cittadina-tipo venuta dal nulla”, la faccia tipo da società civile, la donna&mamma senza fronzoli, tacchi e pettinature strane. Eleggiamo lei a Roma mentre a Torino vola nei sondaggi (e nell’urna) Chiara Appendino, altra mamma lavoratrice, però non venuta dal nulla e anzi molto ben connessa con la discretissima e discretamente potente borghesia torinese. Sogno romano e sogno torinese – due donne, due ragazze-sindaco! – procedono di pari passo nei giorni di giugno, per poi prendere due strade diverse: realpolitik corretta dalla formale aderenza alla sovrastruttura a Cinque stelle per Appendino, e rapida discesa nella palude per Raggi – palude di faide interne e impaccio esterno (tipo formare la giunta, e giù giù fino a gestire le municipalizzate e la spazzatura – inizio e fine di ogni ambizione capitolina).

Nel giro di sei mesi, la storia dei “Cinque stelle e le donne” è diventata parabola al nero della sindaca, prima idolatrata e poi tenuta in scena come madonnina da infilzare. Guarda caso, e in primis, da Taverna e Lombardi, ex colonne del mini direttorio naufragato in estate e coadiuvate recentemente dall’altra sorella Taverna, la Annalisa che ha scritto su Facebook la frase coatta e subito virale “Raggi datte na calmata e non rompere i coglioni altrimenti t’appendemo pe le orecchie ai fili dei panni sul balcone fino a che non rinsavisci…”. E così la donna-sindaco “dal basso” che usciva sul terrazzo in pigiama è diventata colei che non era così senza radici come sembrava, e anzi aveva un curriculum e dei contatti (cosa normale in un’altra forza politica, ma da censurare per la forza politica che vuole pensarsi e dirsi pura e nuova e venuta sempre e comunque da un nulla: internet? piccoli lavoretti? professioni anonime? Tutto vale, basta che ogni precedente esperienza minimamente “pubblica” sia mascherata – e che non si dica mai di aver lavorato in uno studio avvocatizio collegato a Cesare Previti. Il sindaco-donna ha un passato, hanno gridato nemici e testimoni, puntando gli occhi sulla Roma avvocatizia con qualche addentellato nei mondi partitici di destra. Soprattutto, il sindaco-sindaca aveva un problema a multipla faccia: assessore all’Ambiente indagata, garantismo da rivedere, avviso di garanzia aleggiante, dimissioni a catena in giunta, squadra di tutor-consiglieri in arrivo (tutti uomini e tutti non romani: i parlamentari Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro e Danilo Toninelli).

E mentre Grillo, dal suo tabernacolo e blog, sbaglia il colpo in Europa (flop per l’operazione Alde), a Roma una donna senatrice si rivolta su Facebook contro Davide Casaleggio: trattasi di Elisa Bulgarelli, 45 anni da Bologna, colei che di venerdì 13 ha osato dire che l’associazione Rousseau, diretta da Davide Casaleggio con la collabozione di David Borrelli, l’eurodeputato considerato da molti il deus ex machina dell’europasticciaccio, è forse “il centro dei cerchi e cerchietti magici del Movimento…”. Poi però Bulgarelli, vedendo che il Corriere della Sera, in un titolo, faceva balenare la possibilità che in futuro il M5s tassasse i propri eletti, scriveva un post protettivo: “ … io sono e rimango MoVimento e Portavoce, non vado da nessuna parte. Non lascerò mai campo libero a chi vuole trasformare i nostri sogni in un partito. Aggiungo inoltre che se mai dovessi andarmene, vorrebbe dire che sarei talmente rassegnata al non vedere più il sogno realizzato che prenderei la porta di servizio e arrivederci e grazie…”. Ed è come se, a ogni tappa della marcia a Cinque stelle, ci fosse sempre una donna (o più donne) a cui guardare – dalla base, dalla Casaleggio Associati, dalle centrali operative parlamentari – come a un faro, a una ragione di battaglia, a un casus belli, a un simulacro da innalzare o abbattere. A ogni fase, la sua (o le sue) donne di riferimento.

 

Fase pre-Palazzo. Il precedente-monito di Federica Salsi. Corre l’anno 2012, autunno, e Federica Salsi, già scout, madre di tre figli, grafica pubblicitaria e consigliere comunale per i Cinque stelle in quel di Bologna, partecipa a una puntata di Ballarò, contravvenendo al divieto di talk-show (“chi partecipa ai talk show deve sapere che d’ora in poi farà una scelta di campo”, aveva scritto Beppe Grillo mesi prima sul suo blog). Segue tragedia greca, con Grillo che se ne esce con frasi come “la tv è il vostro punto G” e poi compare in ologramma sul blog per scomunicare Salsi e Giovanni Favia, altro reo di partecipazione a salotto tv (a entrambi viene tolto il simbolo). Nell’imminenza delle elezioni politiche, Salsi, che poi definirà “setta” il M5s, è considerata tacitamente, dalle schiere dei candidati al Parlamento, l’esempio da non seguire (sebbene molti, in cuor loro, le diano ragione). Seguito della vicenda: Salsi ha continuato a fare politica fuori dal M5s, e aggiorna regolarmente il suo blog. (Caso tipo successivo: Adele Gambaro, senatrice espulsa con voto degli attivisti sul blog dopo aver espresso critiche sul comportamento tenuto dai vertici di M5s in fase pre-elezioni amministrative).

 

Le Giovanne D’Arco-prototipi. Anno 2013, febbraio: dall’indistinto della rete emergono le Elette, neodeputate e neosenatrici pronte al lancio ex democrazia diretta. C’è, intanto, il suddetto volto della vittoria e “Marianne” a Cinque stelle nel nuovo mondo libero dai partiti: Marta Grande da Civitavecchia, classe 1987, caschetto rosso, maglia nera, studi a Roma Tre con una precedente laurea in Alabama ed esperienza in Cina. Al Senato, invece, nei primi giorni di legislatura, anche grazie a un video di presentazione alla parlamentarie diventato virale, emerge la suddetta Paola Taverna, già impiegata in un laboratorio di analisi cliniche, madre di un figlio con passione collaterale per gli stornelli. Si definisce “cittadina nauseata” e indossa stivali che negli anni dell’imborghesimento stilistico non indosserà più. Lo stornello a sua firma che fa il giro del Transatlantico è “… Me rappresento solo / de te nun c’ho bisogno/ anzi me fai un po’ schifo / e me riprenno er sogno / ritrovo orgoglio, stima e pure convinzione / che sto cesso che me consegni / lo ritrasformo in nazione…”.

Intanto si pensa a Taverna e a Grande come candidate a tutto (presidenze delle Camere?, prime portavoce a turno?). Poi però viene scelta, alla Camera, la cittadina Roberta Lombardi, laurea in Legge, impiego in un’azienda di arredamenti di lusso e parlantina di rigida fissità a Cinque stelle che poi le tornerà utile – o inutile? – nella prima diretta streaming con Pier Luigi Bersani. Con Taverna, Lombardi è una delle grandi nemiche della candidatura Raggi (e anche dopo l’elezione a sindaco di Raggi s’è visto com’è andata). In seconda linea, più defilate, ci sono le deputate riconoscibili sul web per il loro essere sacerdotesse di una battaglia iconica. Sul fronte decrescita felice c’è Federica Daga, oltranzista del chilometro zero e del basso impatto ambientale – dal “riuso” alla Dea acqua (nel senso di acqua pubblica). Sul fronte “legalità” ci sono Giulia Sarti, giovane riminese già impegnata con le “Agende rosse” di Sicilia ed Emanuela Corda, cagliaritana e fumettista. Figura cult nei primi mesi: Laura Bottici, senatrice e questore del Senato, caterpillar anti cronisti e terrore degli aspiranti intrusi alle riunioni ristrette. Cult numero due: la senatrice Enza Blundo, simpaticamente nota per le gaffe sul numero dei parlamentari, poi acerrima avversaria del senatore pd Luigi Zanda.

 

Le colonne della fase di istituzionalizzazione, Barbara Lezzi e Carla Ruocco. Inizialmente non conosciute dal grande pubblico, sono diventate figure mediaticamente centrali nella fase “traversata del deserto dopo l’ingresso in Parlamento” (prima della riemersione a metà 2015). Lezzi, senatrice leccese osannata dai fan in rete a ogni apparizione tv su temi economici, per via della commistione d’eloquio agguerrito e pacato, già molto ascoltata nei banchetti tematici alle feste nazionali a Cinque stelle, è considerata (wishful thinking) “possibile ministro dell’Economia a Cinque stelle”. Qualche mese fa, allo scoppio del caso Muraro a Roma, in un’intervista al Fatto Quotidiano, ha espresso critiche velate al comportamento di Virginia Raggi, Paola Muraro e Luigi Di Maio: avrebbero dovuto comunicare subito che l’assessore all’Ambiente era indagata. Apertamente anti Raggi è invece Carla Ruocco, senatrice napoletana, già commercialista e revisore dei conti, poi membro del direttorio nazionale a Cinque stelle. Protagonista con Lezzi della ricomparsa televisiva dopo lo sdoganamento dei talk-show, è stata a fianco di Roberta Lombardi e Paola Taverna nella fase iper-critica nei confronti del sindaco di Roma. Di lotta e di governo, è diventata regina del web indignato con lo slogan “dalla larghe intese alla larghe cosche”, tormentone ai tempi di Mafia Capitale, e con i racconti in presa diretta dalle scuole pubbliche senza fondi. Altro punto fermo della fase di tentata istituzionalizzazione, la deputata torinese Laura Castelli, giovane e severa, anche nota per le invettive tv contro “l’Europa schiava della finanza”.

 

Le icone del sogno governativo, Virginia Raggi e Chiara Appendino: come si è detto, sono partite come divinità a due teste della sbornia elettorale amministrativa, ma dopo qualche mese già procedono su strade opposte, nessuna delle quali propriamente “ortodossa” (nel senso dell’ortodossia grillina).

 

Figure emergenti. Si segnala un maggior interventismo di Giulia Grillo – deputata catanese, con lungo cursus nel M5s e recente impegno da “portavoce a turno” – e di Dalila Nesci, deputata attiva nella lotta a Cinque stelle “contro il pareggio di bilancio”. A intermittenza, come in questi giorni, si fa sentire la suddetta senatrice “ribelle” Elisa Bulgarelli.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.