Matteo Renzi (foto LaPresse)

La seconda vita di Renzi passa anche dalla semi rottamazione di Whatsapp

David Allegranti

Ora che sta zitto e prova a rielaborare la strategia, tutti lo cercano e lo accusano di non parlare abbastanza. Anche Staino cerca il leader ma ha il numero sbagliato. Strategie

Roma. “Non chiama, non risponde al telefono, non legge i messaggini”. Sergio Staino, direttore de L’Unità, giornale che rischia di nuovo la chiusura (il primo febbraio è fissato il nuovo cda; un milione di euro ce lo mette il Pd, gli altri quattro li devono mettere i Pessina, soci di maggioranza), è inconsolabile. Dice a Repubblica che Matteo Renzi, mister Whatsapp, non visualizza più. Un dirigente del Pd toscano gli ha scritto un messaggio “pepato” dopo il referendum, ma non ha ottenuto risposta. Un amico che sta all’estero ha provato a cercarlo, ma anche in quel caso niente doppia spunta. “Oh, ma tu l’hai sentito?”. Macché. Ferruccio de Bortoli, parlando col Foglio, dice di essere colpito dall’afonia renziana, dai cento tweet all’ora diventati zero dopo la sconfitta del 4 dicembre. Alla fine, insomma, va così: prima si diceva Renzi che parlasse troppo, che esternasse molto, che occupasse compulsivamente tv e giornali.

  

Ora che sta zitto e prova a rielaborare la strategia, tutti lo cercano e lo accusano di non parlare abbastanza. “Fa sempre così: parte, si butta, si disamora e ti abbandona”, dice Staino, manco stesse parlando della fidanzata. Ora, non vorremmo peggiorare la situazione sentimentale del vignettista-direttore e di tutti quelli che stanno scrivendo all’ex premier da giorni senza ricevere risposta, ma: Renzi, semplicemente, ha un altro numero di telefono. “E’ normale dopo una sconfitta”, dice un senatore renziano. Il segretario del Pd viene descritto come un “leone in gabbia” da chi lo sente spesso. “Il nuovo libro sarà la sua piattaforma”. Il libro, che sarà pubblicato da Feltrinelli, era pronto già da tre mesi, ma, dopo la sconfitta del 4 dicembre, Renzi ha dovuto metterci mano, approfittando del tempo libero garantito dalla sua nuova condizione di diversamente occupato (segretario del Pd, al momento senza stipendio). I libri, già in passato, sono stata l’occasione, soprattutto quando non era ancora presidente del Consiglio, per girare l’Italia e far campagna elettorale. Dicono che stia cercando casa a Roma, ma i suoi non ne sanno nulla. “Sei la decima persona che me lo chiede!”, si mette a ridere un autorevole membro del Giglio Magico. “Ma se non ha manco un lavoro!”. Come campa? Chi lo paga? “La Feltrinelli!”. Ah già, l’anticipo della casa editrice su cui si favoleggia. “E poi c’è il tfr di Palazzo Chigi eh”. Giusto: anche i presidenti del Consiglio hanno diritto al trattamento di fine rapporto.

 

Tra silenzi, libri da scrivere e tavernette pontassievesi, si intravede – vagamente – il tentativo di Renzi di costruire un percorso per il ritorno alla politica attiva. Una delle cose che non hanno funzionato negli ultimi mesi è l’arroccamento a Palazzo Chigi, ancorché inevitabile per un presidente del Consiglio. Uno dei vanti di Renzi però, prima di diventare un pezzo dell’establishment, era quello di essere anzittuto un sindaco (con tutta la mitologia collegata dello stare fra la “gggente”). Gli amministratori locali sono un buon punto di (ri)partenza: il 27 e 28 gennaio il Pd riunirà i suoi amministratori locali a Rimini, per “riuscire a dare una nuova visione generale al paese partendo dalle realtà locali”. Insieme al fronte interno e al desiderio di costruire davvero il PdR, il Partito di Renzi, fondamentalmente mai nato, c’è però anche la dimensione europea. Nel 2017 ci sarano le elezioni in Francia e in Germania, il fronte populista resta forte. “In Europa – dice Giuliano da Empoli, fondatore del think tank Volta – Renzi è l’unica alternativa costruttiva al merkelismo, cioè alla cauta gestione tecnocratica dell’esistente. E’ l’unico che abbia provato a intercettare la rabbia anti-establishment che attraversa l’Europa, non per alzare muri e disgregare l’Unione, ma per andare nella direzione opposta, per spingere l’Europa a dare risposte vere sulla crescita economica, sull’immigrazione, sulla sicurezza. Se il referendum fosse passato, Renzi avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo in Europa nel 2017, a fronte di governi francesi e tedeschi resi più fragili dalla prospettiva delle elezioni. Le cose sono andate diversamente, ma il problema resta lo stesso”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.