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Facebook, c'è un problema: la democrazia. Chiacchierata con il ministro Orlando

Claudio Cerasa

Dietro alla discussione sulla post verità, c’è un bel dibattito che riguarda l’equilibrio tra disintermediazione e corpi intermedi. Politica fuffa e fake news sono collegate da un filo sottile

Andrea Orlando, ministro della Giustizia, lo dice d’un fiato: “Qui non parliamo di Facebook, qui parliamo del futuro della nostra democrazia”. Che cosa c’entra il futuro di Facebook con il futuro della nostra democrazia? Poco, se si considera Facebook una semplice bacheca costruita su un freddo e innocuo algoritmo. Molto se si considera Facebook lo specchio di un fenomeno culturale che riguarda uno dei grandi temi della nostra epoca politica, ovvero il giusto equilibrio che una società deve trovare tra l’ondata della disintermediazione e la ricerca di nuove e necessarie forme di mediazione.

 

Negli ultimi mesi, attorno al gran dibattito maturato sull’opportunità che il social network più famoso del mondo sia responsabile o meno dei contenuti che veicola, si sono confrontate tesi differenti tra loro. Ma il punto interessante rispetto alla battaglia di idee su ciò che debba fare Facebook di fronte a una notizia falsa è che in realtà buona parte dei nostri ragionamenti sul tema non è di natura tecnologica, ma in fondo di natura strettamente politica. E quando si parla delle responsabilità della piattaforma di Mark Zuckerberg di fronte al dilagare delle fake news si parla di qualcosa di più importante di una notizia non vera. Si parla del rapporto tra disintermediatori e mediatori, tra populisti e classe dirigente, tra corpi intermedi e campioni della disruption.

Dieci giorni fa, per la prima volta, Mark Zuckerberg ha ammesso che Facebook deve cominciare a ragionare come se fosse una media company, assumendosi cioè le responsabilità tipiche degli editori di fronte alla pubblicazione di una notizia (“Facciamo tecnologia e ci sentiamo responsabili per come viene usata”). Al momento le parole di Zuckerberg hanno avuto un riflesso relativo sulla vita di Facebook – è stato reso più semplice segnalare notizie false; è stato creato un organismo terzo formato da Abc News, Politifact, FactCheck e Snopes per verificare le notizie contestate; è stato reso più difficile per i siti che veicolano notizie false trarre profitto dai clic generati dalle fake news. Ma al di là di quelli che saranno i singoli interventi che verranno approntati da Facebook per combattere il fenomeno delle fake news, è evidente che il passaggio da società non responsabile dei contenuti pubblicati a società responsabile dei contenuti “diffusi” delinea un orizzonte in cui sarà difficile limitare il perimetro della non pubblicabilità delle notizie alle semplici notizie false. Se Facebook è un editore, può un editore pubblicare notizie che veicolano diffamazione e che veicolano contenuti non verificati? Un bel problema. Qualche settimana fa, prima che Zuckerberg ammettesse che Facebook è una media company, il ministro della Giustizia tedesco, Heiko Maas, ha rilasciato una serie di dichiarazioni sul tema che ha fatto discutere. Secondo Maas, “Facebook dovrebbe essere trattata a tutti gli effetti come una società di media piuttosto che come una piattaforma tecnologica per molte ragioni”. Una su tutte riguarda “il dovere di considerare Facebook penalmente responsabile per la mancata rimozione dei discorsi d’odio pubblicati sulle bacheche”.


Il ministro della Giustizia Andrea Orlando (foto LaPresse)


Il ministro della Giustizia italiano, Andrea Orlando, a colloquio con il Foglio, dice di pensarla allo stesso modo, e fa un passo in avanti nel ragionamento. “E’ arrivato il momento di mettere le cose in chiaro: Facebook non può essere più considerato un semplice veicolo di contenuti. Se su una bacheca vengono condivisi messaggi d’odio, o propaganda xenofoba, è necessario che se ne assuma le responsabilità non solo chi ha pubblicato il messaggio ma anche chi ha permesso a quel messaggio di essere letto potenzialmente in tutto il mondo. Al momento non esiste una legge che renda Facebook responsabile ma di questo discuteremo in sede europea prima del G7, per mettere a tema il problema senza ipocrisie”.

 

Orlando non crede che ci sia un legame diretto tra l’esplosione dei populismi e l’esplosione della comunicazione e dell’informazione veicolata dai social media, ma crede piuttosto che ci sia un parallelismo diverso da fare per studiare il rapporto tra la crescita esponenziale dei campioni della disintermediazione nel mondo della tecnologia e la crescita esponenziale dei campioni delle disintermediazione nel mondo della politica. “Dire che Facebook deve responsabilizzarsi non significa voler punire Facebook, ma significa voler combattere contro un grande pericolo che vivono le nostre democrazie. La retorica sulla disintermediazione ci ha permesso di fotografare bene un fenomeno ma non ci ha permesso di capire bene le sue problematiche. La disintermediazione è inevitabile, e su questo non c’è dubbio, ma mi chiedo se sia inevitabile che la disintermediazione coincida con la distruzione dei corpi intermedi e non con la loro rigenerazione”.

Il populismo, sia in politica sia nel mondo dell’informazione, non nasce dai social, dice Orlando, ma nasce dall’idea che nell’epoca della disintermediazione tutto ciò che fa parte della mediazione sia automaticamente falso e tutto ciò che nasce sulla rete sia automaticamente vero: è un errore. “La politica, i legislatori e l’opinione pubblica – dice Orlando – devono prendere coscienza di questo problema e trovare dei rimedi, o se volete degli anticorpi. I social network hanno distrutto le modalità di costruzione dell’autorevolezza, hanno contribuito a ridefinire le categorie del rispetto sociale, e su questo non si può fare molto. Ma ciò che si può fare e sul quale si può lavorare è invece questo. I corpi intermedi, vittime della disintermediazione, devono ragionare sui loro errori e chiedersi come è possibile che oggi venga ritenuto autorevole o credibile, senza alcuna verifica alla fonte, il primo politico che passa o la prima notizia che passa. Dall’altro lato però è necessario impegnarsi per non alimentare, su nessun piano, una spirale che rischierebbe di essere devastante. Quella che prevede l’affermazione di un principio pericoloso: ciò che è virale diventa verosimile a prescindere se ciò che si condivide sia vero oppure no. Le notizie false ci sono sempre state e sempre ci saranno. Ma prima di rassegnarci a vivere nella giungla della disintermediazione senza regole è bene che la politica faccia la sua parte e che provi con tutte le forze a disincentivare l’affermazione delle post verità. Non sarà l’anticorpo perfetto ma la trasformazione di Facebook in qualcosa di simile a un editore è un passaggio cruciale in questo senso. Sia per il mondo della tecnologia sia per il mondo della politica. Qui non stiamo parlando solo di Facebook, stiamo parlando del futuro della nostra democrazia”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.