(foto LaPresse)

Genuflettersi alla magistratura significa volere una società autoritaria

Giuseppe Bedeschi

Quando si parla, a destra e a manca, di “divisione dei poteri” si dice cosa profondamente fallace. Questo concetto viene espresso con grande chiarezza dai grandi pensatori liberali

Nei giorni scorsi in un editoriale del Foglio si leggeva, a proposito dell’autosospensione del sindaco di Milano Sala, a causa di un avviso di garanzia: “La storia di Milano, al di là dell’indagine in sé, è il termometro di un’incapacità della politica a saper resistere al potere mostruoso esercitato dalla magistratura, e il sindaco Sala, annunciando la sua sospensione dall’incarico, ha fatto un gesto che sarà apprezzato dall’indignato collettivo ma che è il contrario di quello che dovrebbe fare un manager eletto dal popolo: un sindaco risponde agli elettori, non ai magistrati, e fino a che si è indagati, e non condannati con sentenza definitiva, si ha il dovere di amministrare una città”. Parole giustissime, a mio avviso, alle quali vorrei aggiungere qualche considerazione. Nel nostro paese si è diffusa largamente, a partire da Tangentopoli, un’opinione pubblica “giustizialista”, che vede nella magistratura il potere supremo. Si tratta di un’opinione che lede i fondamenti stessi della democrazia liberale.

Tralasciamo pure il fatto che in una democrazia come la nostra un cittadino non è colpevole fino a sentenza definitiva (figuriamoci con un avviso di garanzia, al quale può seguire anche un non luogo a procedere), e soffermiamoci soprattutto su un punto: l’opinione pubblica che si genuflette di fronte alla magistratura, considerandola come il potere supremo, incorre in un errore gravissimo, perché la magistratura non è nemmeno un potere, è un ordine nello stato democratico. Il potere deriva solo e soltanto da un’investitura popolare, cioè da un voto liberamente espresso: dunque il potere è sempre e solo politico. Quando si parla, a destra e a manca, di “divisione dei poteri” – intendendo con ciò il potere legislativo, quello esecutivo, e quello giudiziario – si dice cosa profondamente fallace. Del resto, la nostra Costituzione non parla di potere giudiziario, bensì di “ordine giudiziario” (art. 104). Questo concetto viene espresso con grande chiarezza dai grandi pensatori liberali. Così John Locke, nel Secondo trattato sul governo (1690), quando parla dei diversi poteri, elenca il potere legislativo (che per lui è il potere supremo), il potere esecutivo e quello federativo (che spettano al monarca), e non nomina nemmeno il giudiziario (che per lui è un’articolazione del potere legislativo).

 

 

Quanto a Montesquieu, molto erroneamente gli si attribuisce una dottrina della “divisione dei poteri”. Nello Spirito delle leggi (1748) egli cerca piuttosto una separazione (funzionale) e un equilibrio fra i vari poteri (che sono il monarca, la Camera alta e la Camera bassa), in modo che sia impossibile l’affermarsi di un potere assoluto. E il giudiziario? Montesquieu ne tratta con molta circospezione. Dice infatti che esso “non deve essere attribuito a un senato permanente, ma deve essere esercitato da persone scelte fra il popolo, in determinati periodi dell’anno, secondo la maniera prescritta dalla legge, per formare un tribunale, il quale rimanga in vita soltanto per il periodo che la necessità richiede”. A ciò Montesquieu aggiunge, per rendere ancora più chiara la propria preoccupazione circa il ruolo del giudiziario: “In questo modo il potere giudiziario, così terribile tra gli uomini, non essendo legato né a una determinata condizione, né a una determinata professione, diviene, per così dire, invisibile e nullo”.

Da queste formulazioni dei classici del liberalismo emerge assai bene che per essi il potere vero e proprio è il potere politico, il quale è legittimo solo finché gode del consenso dei cittadini (e dunque è anch’esso un potere limitato); ma finché gode di tale consenso, il potere politico deve poter governare tranquillamente, nei limiti delle leggi. L’ordine giudiziario ha sì una funzione fondamentale, e deve essere libero e indipendente (in caso contrario non c’è stato di diritto), ma è appunto un ordine, non un potere. Chi si genuflette di fronte a questo sedicente potere, e anzi vede in esso il fondamento di tutti gli altri poteri, auspica, lo voglia o no, una forma non tanto larvata di società autoritaria.

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