Una riunione nella sede del Cnel (foto LaPresse)

Ente meno inutile

Valerio Gironi

Idee di un (ex) insider per sfruttare ragionevolmente la passione degli italiani per il Cnel

Adesso che per l’effetto domino del No anche il Cnel si è salvato dalla furia riformatrice del giovin signore di Rignano, dobbiamo interrogarci sul suo futuro. No, non di Matteo Renzi, ma del Cnel. Chi scrive, grazie alla cortese ospitalità di questo giornale, ha già detto che l’unico modo di salvare il Cnel era di chiuderlo e non ha cambiato idea, però se oltre 19 milioni di italiani, di cui buona parte non saprebbero neppure declinare l’acronimo, hanno detto che senza non ci possono stare, allora bisogna farsene una ragione e passare alle proposte. Prima fra tutta evitare che Villa Lubin, la prestigiosa e vituperata sede del Consiglio dentro Villa Borghese, torni a essere quel parcheggio-poltronificio che l’ha caratterizzata nell’ultimo ventennio, in cinquant’anni di storia non è una cosa di poco conto. C’è anche da superare la sindacal-politica dell’ingerenza che ha di fatto svilito prerogative e ruoli degli stessi dipendenti di un organo di rilevanza costituzionale, che dovrebbero rispondere non alle paturnie di questo o quel Consigliere, bensì alle norme contrattuali e di legge che regolano i rapporti della pubblica amministrazione.

Non è che i dipendenti del Cnel non ci abbiano provato a fare il dovere loro, ma, come si sa, la carne è debole. Poi sul Cnel è sempre pesata come una spada di Damocle, un’investitura che molti ritenevano salvifica e cioè di essere la Terza Camera; in realtà è stata un boomerang e quando un suo carismatico Presidente, per levarsi da imbarazzi istituzionali, lo ribattezzò “casa delle rappresentanze”, il colpo fu letale. Infatti, soprattutto da parte dei sindacati, questo fu interpretato come un hic manebimus opitme e da lì in poi si misero comodi e ognuno andava al Consiglio ha ripetere pari pari quello che ogni singola casa madre aveva già deliberato: la fiera dell’inutilità. Per questo adesso è il momento di chiudere (col passato) e cambiare. Intanto la rappresentanza non può essere solo un appannaggio dei soli noti, ma deve aprirsi a tutte quelle realtà economico e sociali che hanno trasformato il nostro paese: volontariato, no profit, consumatori, nuove professioni, partite Iva. Cioè tutto quello che è già economia e lavoro. Lo sforzo vero che deve fare il Cnel è quello di arrivare a una sintesi delle varie posizioni vigenti e confliggenti del paese e presentare al decisore ultimo, Il Parlamento, una sorta di semi-lavorato utile, appunto, per le decisioni da prendere. Non l’ho detto io, ma, in modo più elegante il “papà” del Consiglio e primo presidente, Meuccio Ruini. Saggio consiglio, visto che sul Cnel pende un’altra dannazione, quella della proposta legislativa, cosa che si può ben immaginare indigesta a chi è stato eletto dal popolo sovrano per fare leggi).

I vincoli inutili, le chance in più Si può fare tutto questo senza gravare sulle già maramaldeggiate tasche dei contribuenti? Certo che sì! Si può già immaginare un Cnel ridotto nel numero dei Consiglieri (oggi 64, prima erano addirittura 120), scelti tra le menti migliori per aree di appartenenza e non di rappresentanza, istituzionalizzare i rapporti con le Università e i centri di ricerca, liberarlo da assurdi vincoli di legge su materie che Parlamento e governo si guardano bene di affidare ad altri, come la valutazione sulla legge di Stabilità, tanto per fare un esempio, mentre si potrebbe incrementare il preziosissimo archivio dei contratti arricchendolo con aggiornamenti continui su produttività e contrattazione articolata, istituire un monitoraggio sui fenomeni migratori, sul lavoro nero, sul mercato del lavoro, sulla concorrenza, sulla politica economica internazionale. Insomma un ufficio studi di eccellenza che faccia oltre che da sintesi e proposta anche da radar. Una seconda opportunità va concessa a tutti. 

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