Matteo Renzi al seggio con la moglie Agnese (foto LaPresse)

O con Berlusconi o alle elezioni

Claudio Cerasa

La direzione del Pd vede le urne in primavera. Renzi passa la palla al Cav. per andare al voto. L’assist della Consulta può cambiare il gioco di Mattarella

C’è un nuovo referendum che nelle ultime ore sta spezzando in due il mondo della politica. Un referendum invisibile che questa volta riguarda non una scelta costituzionale ma una scelta istituzionale, da cui dipende il destino di questa legislatura. Il quesito di questo referendum potrebbe essere sintetizzato più o meno così: approvate la mozione per il superamento di una legislatura ingovernabile, la revisione tramite voto popolare di questa maggioranza di governo e l’abolizione dei vitalizi ai parlamentari pronti a entrare in vigore a partire dal primo ottobre 2017? Detto in altre parole: volete voi, gentili cittadini e gentili deputati, votare subito oppure no? Il nuovo referendum – sì o no alle elezioni anticipate – sarà oggetto della direzione convocata oggi dal Partito democratico e come ogni tema che si rispetti il Partito democratico è spaccato in due. Potremmo dire in due comitati. Da una parte il comitato 2018 e dall’altra parte il comitato 2017. Il primo comitato, formato di chi sogna di votare al termine della legislatura, è composto da tutti coloro che nel Pd hanno votato No al referendum costituzionale. Il secondo comitato, formato da chi sogna di andare a votare senza fronzoli a marzo, è composto da una truppa in cui si trovano i sostenitori più fedeli al presidente del Consiglio più le due correnti di sinistra maggiormente legate al segretario del Pd (area Matteo Orfini, area Maurizio Martina). In mezzo a questi due comitati, nel Pd, si trova un mondo più liquido e in un certo senso più obliquo (Franceschini e alcuni vecchi campioni della vecchia Dc) che oggi in direzione Renzi certamente proverà a stanare.

La partita è semplice e vale la pena sintetizzarla così: il segretario del Partito democratico è pronto a dare il via libera a un altro governo solo a condizione che ci sia una maggioranza diversa rispetto a quella di oggi a sostenere questo governo. E’ lo schema anticipato lunedì sera da Angelino Alfano: dopo la sconfitta al referendum, la maggioranza che ha sostenuto il governo Renzi non esiste più e dunque, per essere concreti, ci sono due strade per andare avanti. La prima strada è costruire una nuova maggioranza, allargando il perimetro del governo anche a Forza Italia. La seconda strada è prendere atto dell’impossibilità di andare avanti in questa legislatura e scaricare su Silvio Berlusconi la responsabilità del voto anticipato. Per riassumerlo in uno slogan: o si condivide il governo con Berlusconi o si condivide la scelta delle elezioni. Attraverso questa strategia, le possibilità che emergano alla luce del sole, e senza fraintendimenti, i due nuovi comitati referendari ovviamente non possono che moltiplicarsi. Le posizioni in campo oggi non sono del tutto chiare. Si sa che nel comitato 2017 ci sono sia la Lega sia il Movimento 5 stelle. Si sa che nel comitato 2018 ci sono i signori del No del Pd e la stragrande maggioranza di Forza Italia.

La posizione di Berlusconi però non è del tutto chiara. E non lo è per un motivo semplice: Forza Italia punta a logorare il Pd facendo andare avanti il governo con questa maggioranza (nota ufficiale di Forza Italia di ieri: legge elettorale per governabilità e poi voto) ma non può permettersi fino in fondo di dire no alle elezioni per non regalare quello spazio politico (Sì al voto, sì al ritorno della legittimazione popolare) solo a Matteo Salvini. Lo schema di gioco non lo si può capire fino in fondo senza mettere a fuoco due scelte importanti che stanno maturando a Roma sui due lati della piazza del Quirinale: alla presidenza della Repubblica e alla Corte costituzionale. Tra Renzi e Mattarella non c’è ancora uno scontro ma c’è una sostanziale differenza di vedute. Il capo dello stato vuole un nuovo governo che possa tentare di arrivare fino al 2018 (anche con l’attuale maggioranza) e che possa garantire all’Italia di essere rappresentata da un esecutivo in carica al G7 di Taormina (a maggio). Il presidente del Consiglio dimissionario non è disposto a dare il via a un governo di scopo che faccia leva sulla maggioranza attuale (non si può essere cornuti e mazziati: essere bastonati al referendum costituzionale ed essere rosolati vivi appoggiando un governo che ha 19 milioni di persone che non lo vogliono) ma è disposto invece ad appoggiare un nuovo governo a condizione che la maggioranza sia allargata anche a Berlusconi.

Dall’altra parte di piazza del Quirinale, invece, c’è la Corte costituzionale da cui dipende buona parte dei giochi. Il 24 gennaio, notizia di ieri, la Consulta si esprimerà sulla costituzionalità dell’Italicum (fonti del Foglio confermano che i giudici della Corte elimineranno il ballottaggio, il cuore della riforma elettorale di Renzi, lasciando così com’è il resto della riforma, ovvero il premio di maggioranza che scatta per chi arriva al 40 per cento al primo turno e la soglia di sbarramento al tre per cento). Da quel giorno ci sarà una nuova legge elettorale (Consultellum al Senato, Italicum modificato alla Camera) con la quale si potrà andare a votare, anche tra fine marzo e inizio aprile, in modo da avere un governo eletto per il G7. Lo schema di Renzi (che in caso di voto anticipato non prevede l’anticipo del congresso ma prevede le primarie per la premiership sul modello Prodi 2005) presenta un punto di debolezza importante che dipende da una volontà tutta da verificare legata al ruolo del presidente della Repubblica. Sergio Mattarella è azionista numero uno del Comitato 2018 (finire la legislatura) e tenterà, al di là della strategia di Renzi, di fare un governo che possa arrivare fino al termine della legislatura.

Se Renzi riuscirà ad avere ancora il Pd dalla sua parte, il Comitato 2018 è destinato a perdere questo secondo referendum. Ma se Renzi dovesse ritrovarsi con un pezzo di Pd ostile e con un Mattarella intenzionato a tutti i costi a non interrompere la legislatura non potrebbe che succedere una cosa semplice: la fine del Pd con una spaccatura sul modello Pdl 2012. Difficile che succeda. Difficile che nasca un nuovo governo. Difficile che, dopo la sentenza della Consulta, l’Italia non scivoli rapidamente verso nuove elezioni (anche se non sarà facile arrivare al 24 gennaio con un governo dimissionario). Un patto del Nazareno bis è ancora possibile in questa legislatura ma è più probabile nella prossima. Quando Renzi proverà a capitalizzare il 40 per cento di Sì incassato lo scorso 4 dicembre. Un 40 per cento che misurato in un referendum è uno schiaffo micidiale. Ma che se confermato alle politiche renderebbe Renzi, ancora, il centro della prossima legislatura.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.