Beppe Grillo (foto LaPresse)

Grillo sul serio

Luciano Capone

Viaggio nel programma a 5 stelle. Promesse e slogan favolosi, senza vincoli di bilancio (e di realtà)

Roma. Beppe Grillo chiede di votare “il prima possibile” per capitalizzare la vittoria referendaria e ha già annunciato l’inizio delle votazioni online per la scelta del programma e della squadra di governo. A questo punto la prospettiva di un esecutivo guidato dai 5 stelle diventa concreta e, viste le delicate condizioni dell’Italia e dell’Europa, è importante conoscere il programma economico del Movimento 5 stelle. Per adesso non esiste un piano coerente, ma è possibile ricostruire le linee di fondo dalle proposte degli ultimi tempi o pubblicate sul blog, tenendo sempre conto che in politica, e per il M5s in particolare, non vale ciò che è stato detto in passato: fino a ieri Grillo diceva di voler cancellare l’Italicum perché antidemocratico e incostituzionale, oggi vuole andare al voto con quella legge elettorale. La proposta più importante del M5s è l’introduzione di un sussidio di disoccupazione (o sotto occupazione) – chiamato in maniera incorretta e fuorviante “reddito di cittadinanza” – per non far vivere nessuno con meno di 780 euro al mese. I beneficiari sarebbero circa 10 milioni di persone, lo stesso numero di cittadini che ha ricevuto il “bonus Renzi”. Ma se gli “80 euro” al mese costano 10 miliardi l’anno, i 780 euro al mese del M5s dovrebbero costare, secondo i calcoli grillini, solo 17 miliardi. Si tratta, per usare un eufemismo, di una stima conservativa, soprattutto se si considerano gli effetti dinamici che la caccia al sussidio inevitabilmente provocherà sul mercato del lavoro e sul bilancio pubblico. C’è inoltre un problema di coperture: il M5s propone un aumento della Robin tax che però nel frattempo è stata cancellata perché incostituzionale, il taglio delle pensioni d’oro anch’esso bocciato dalla Consulta, il taglio di quasi 3 miliardi di spese militari che vorrebbe dire azzerare le spese di investimento e di esercizio del ministero della Difesa (mentre si chiede contemporaneamente maggiore “sovranità” e indipendenza dalla Nato in politica estera). Sul fronte fiscale il M5s vuole abolire l’Irap, per un costo di circa 30 miliardi, e tagliare le tasse sul lavoro (in aggiunta alla riduzione dell’orario di lavoro e all’aumento del salario orario). Oltre a disoccupati, imprese e lavoratori, i grillini non hanno dimenticato il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, l’aumento della spesa sanitaria e l’abbassamento dell’età pensionabile.

In linea generale il M5s sposa le tesi della “decrescita felice” (e in questo senso c’è piena coerenza con le proposte economiche), si pone in netto contrasto con il processo di integrazione economico-politica europea, sposa idee protezioniste e anti globalizzazione, è diffidente se non ostile nei confronti del libero mercato: niente liberalizzazioni (vedi la proposta di chiusura obbligata dei negozi nei giorni festivi o l’opposizione alla direttiva Bolkestein), niente privatizzazioni e maggiore presenza dello stato sia nella gestione dei servizi che nell’indirizzo della “politica industriale”.

Sono posizioni radicate sia nella destra sia nella sinistra più dirigiste e stataliste, ma il M5s, oltre a non avere barriere ideologiche, non tiene neppure conto dei vincoli di realtà. Se infatti in generale la destra liberale propone meno tasse e meno spese mentre la sinistra socialista più tasse e più spese, Grillo promette meno tasse e più spese: la trasformazione del piombo in oro. Il segreto alchemico, peraltro non nascosto e per certi versi inevitabile visto il rifiuto di rispettare qualsiasi equilibrio di bilancio, è l’uscita dall’euro: i soldi che mancano li stamperemo con “una nostra banca”. Il problema del populismo macroeconomico e della sua concezione tipografica della produzione della ricchezza è che non funziona, come dimostrano ripetute esperienze fallimentari in America latina. Ma per arrivare al default non bisognerà aspettare poi molto, visto che il M5s ha come punto imprescindibile del programma un referendum sull’euro: i risparmiatori correrebbero agli sportelli per ritirare i risparmi prima di andare a votare, facendo collassare il sistema bancario senza neppure dover aspettare gli exit poll.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali