Maria Elena Boschi (foto LaPresse)

La Boschi ha resistito anche ai peggiori attacchi. Politicamente ha già vinto

Mario Sechi

Comunque vada il referendum, è lei la vera vincitrice della battaglia politica

Chi vince? Guardare il futuro in queste ore è impresa divinatoria, il referendum è diventato un fulmine, potente e imprevedibile. Doveva essere un placido fiume navigabile, oggi è tumultuoso, un percorso (in)naturale dove infuria il vento e le maree, una guerra tra gli elementi. Che terra, l’Italia. La politica, questa campagna crudele, è diventata un campo di macerie fumanti dove tra qualche ora si conteranno i vivi, i morti e i feriti. Su questo terreno dove ancora non si placa il clangore delle armi c’è una figura corazzata: Maria Elena Boschi. Tempo fa il vostro cronista lasciò sul Foglio alcune note sul carattere emergente di questo profilo che si andava disegnando nel panorama politico. L’indagine sul caso Boschi era semplice: bastava non farsi tradire dal pregiudizio innescato dalla sfrontata gioventù e bellezza della Boschi (fatalmente sinonimi di immaturità e frivolezza) e sarebbe apparso chiaro a chiunque che nel cerchio del renzismo c’era qualcosa che in filigrana ne superava i limiti evidenti dei quattro amici al bar. Nella tempesta di ferro e acciaio del voto, comunque vada, la Boschi ha affrontato la prova più difficile: non cedere alla strage di illusioni che genera l’ignoranza collettiva e provare ad alzare una fortificazione di idee, superare la grazia che crea stupore (e tagliente invidia) e affermare il principio del conoscere per deliberare.

 

Sì, anche lei ha commesso i suoi errori tattici per eccesso, qualche volta ha strappato dove bisognava invece pazientemente ricucire, ha lasciato che Renzi facesse il suo one man show nella prima parte della campagna e après moi le déluge! ma alla fine i fatti sono visibili: le hanno scaricato addosso la colpa (presunta) del padre, la sua bellezza è diventata prova di colpevolezza, il suo essere parte fondante di un progetto politico nato fuori dal piccolo establishment italiano (piaccia o meno, questa è l’origine di Renzi) l’ha esposta fino a diventare bersaglio da cannone, il tentativo di reificare la sua figura è stato condotto con una furia senza limiti, fino all’invalicabile, all’offesa del corpo, alla sostituzione del discorso con il dileggio, all’offesa bestiale. Non parliamo qui dell’essere bersaglio di satira – spazio di libertà che il Foglio ha sempre difeso – ma del discorso postribolare, da taverna, da osteria di porto dove s’addensano i fumi del turpiloquio etilico a cui la politica italiana si è consegnata. La Boschi è stata al centro di questo assalto da trincea. Colpire lei per affondare il capo. Provate a immaginare che cosa significhi tutto questo in un paese, l’Italia, dove la battaglia politica è di una ferocia senza pari, siamo il paese dei guelfi e dei ghibellini, delle distruzioni ideologiche, della lotta tribale in nome di vecchi e nuovi -ismi, oggi coniati nella zecca dell’odio personale. Sono le premesse tragiche del carattere di una nazione che hanno sempre delle conseguenze inesorabili. Vinci, sei il re. Perdi e sei polvere nella polvere. La sconfitta in Italia diventa un’eterna solitudine in cui gli amici si dileguano come una sinistra risata nel buio.

 

C’è un’immagine simbolo di questa campagna elettorale? Sì, il destino ha scelto con cura il gran finale, ha giocato a dadi e un compiaciuto sorriso l’ha incastonato nel luogo dove tutto è rappresentazione. Napoli. Teatro San Carlo. Va in scena l’Otello. Shakespeare e Rossini, la penna sublime del Bardo, l’armonia dell’italiano figlio di un rivoluzionario. Sul palco d’onore, tra le ombre, un flash. E’ lei, Maria Elena Boschi. Anche questa volta, niente è passato inosservato, il vestito, la bellezza, l’acconciatura, il sorriso, niente le è mai stato concesso senza un’alzata di ciglia, un indice alzato, una baionetta inastata. Deponete le armi, la Boschi ha già vinto. In fondo è insopportabile anche per questo: è un memento per i tanti che nel renzismo hanno fatto carriera senza mai esporsi in campo aperto, di fronte al tiro dei proiettili. Spegnete le luci, lo spettacolo è finito, lunedì comincia un’altra rappresentazione: tutti sul carro del vincitore o tutti in fuga sulla via del non sono mai stato renziano.