Ragioni strutturali per cui un Sì rafforzerà davvero l'Italia in Europa

Andrea Goldstein e Pietro Manzini

La riforma costituzionale non è una panacea salvifica, ma alcuni dei cambiamenti proposti renderanno più facile governare 

Se Francesco Saverio Nitti e il suo social-liberalismo avessero avuto più seguito, la storia d’Italia sarebbe stata diversa e il paese probabilmente migliore. In compenso il benaltrismo che lo statista lucano denunciò ripetutamente è sempre in auge, tanto che pure l’Economist sembra credere che “di ben altro” ha bisogno l’Italia per uscire dal pantano del declino economico che la attanaglia da decenni. Sgombriamo il campo dagli equivoci: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è una panacea salvifica e anche se venisse bocciata dagli elettori, fosse pure con un margine ampio, il sole continuerà a sorgere. Ma alcuni dei cambiamenti proposti renderanno più facile governare e pertanto rinforzeranno la voce dell’Italia in Europa. Non c’è dubbio che la riforma della Carta fondamentale semplifica l’attività di governo. La corsia preferenziale per le leggi che attuano il programma gli faciliterà il conseguimento degli obiettivi sui quali ha ottenuto la fiducia. L’abbandono del bicameralismo perfetto, che di perfetto ha però dimostrato di avere solo la forma e non la sostanza, allinea l’architettura costituzionale a modelli europei come Germania e Spagna. La separazione delle competenze, dello stato e delle autonomie territoriali, attualmente spesso in conflitto, renderà più efficace l’azione dell’amministrazione e garantirà maggiore stabilità agli investitori.

Nell’Unione europea l’Italia sarà più attiva e più credibile. Ad esempio, il Senato potrà concentrarsi sulla sorveglianza del rispetto del principio di sussidiarietà, intervenendo laddove l’Europa voglia legiferare anche in aree che non le competono. La Camera sarà più pronta ed efficace nel recepire le norme europee, liberandoci dalla decennale accusa di essere europeisti solo a parole. La credibilità che deriva dal rispetto delle norme comuni è un’arma potente nei negoziati a Bruxelles. I cambiamenti costituzionali proposti potranno essere combinati con un sistema elettorale che consenta ai cittadini di decidere effettivamente chi governa. L’Italicum dovrà essere migliorato, ma in ogni caso deve lasciare nelle mani degli elettori la scelta di chi ha la responsabilità politica di guidare il paese, proprio come avviene nei maggiori stati europei e negli Stati Uniti. Di un’Italia forte, capace di proporre e decidere, l’Europa ha grande bisogno nel momento in cui affronta sfide fondamentali per il suo futuro, dalla Brexit alle crisi migratorie, dalla definizione delle relazioni con Russia e Turchia all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Di fronte all’incertezza, l’unica risposta possibile è rafforzare le fondamenta comunitarie, per esempio nella Difesa, in maniera consapevole e trasparente.

In compenso l’accusa che si apre la strada all’elezione di un uomo forte è senza fondamento. Non perché il rischio non sussista – l’Italia non è isolata dalle derive che sembrano caratterizzare le democrazie in questo frangente storico – ma perché la riforma va proprio nella direzione opposta. Per un verso, riconsegna dignità e centralità al Parlamento, dato che costituzionalizza il divieto di reiterazione della decretazione d’urgenza, mediante la quale in passato i governi hanno spossessato le Camere della loro funzione legislativa. Per altro verso, la riforma allarga gli spazi di democrazia diretta. Ad esempio, i cittadini potranno proporre leggi sulle quali la Camera dovrà necessariamente deliberare e che non potrà, come oggi avviene, semplicemente ignorare; oppure, se sostenuto da un adeguato numero di elettori, il referendum popolare potrà abrogare una legge dovendo superare non, come oggi avviene, la soglia della maggioranza degli elettori, bensì la ben più ridotta soglia della maggioranza dei votanti nelle elezioni precedenti al referendum. Rimanere con un’architettura costituzionale, nobile ma invecchiata, o cambiare per guardare avanti? Questo dovrà essere deciso dagli elettori italiani – non dall’Economist o da JP Morgan – rifuggendo dalla più pericolosa delle bufale costituzionali, ossia che nel caso di vittoria del No si potrebbe rapidamente approvare un’altra riforma ‘più bella e più perfetta’. E’ un’affermazione che offende l’intelligenza degli italiani: se ne riparlerebbe, forse, tra dieci anni. Insomma, il 4 dicembre votare Sì è molto meglio che votare No. 

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