Romano Prodi (foto LaPresse)

Non c'è da preoccuparsi se per una volta si è d'accordo con Prodi

Sergio Soave

Il riformismo del professore, seppur quasi avventuristico, risponde a una necessità legittima: quella di adeguarsi alle novità

La dichiarazione di voto favorevole di Romano Prodi è chiara e convincente. Non fa sconti sulla stesura del testo della riforma costituzionale, non eccede nel considerarla foriera di una trasformazione radicale ma, da riformista gradualista, vede che rappresenta un miglioramento rispetto alla situazione esistente e quindi la approva. Sono d’accordo con lui e questo mi crea una certa preoccupazione. Non sono mai stato un sostenitore del professore bolognese, del suo stile tecnocratico apparentemente pacato dietro il quale si intravvede una robusta volontà di primato politico personale e talora personalistico. Anche in questa dichiarazione di voto quello che non mi convince è l’autobiografia: “Tutta la mia vita politica consiste nel superamento delle vecchie decisioni che volevano sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso. Questo era l’Ulivo”.

 

Più o meno è come dire che il comunismo (o se si vuole il cristianesimo o qualsiasi ideologia o convinzione) è il cambiamento dello stato di cose presente. Troppo e troppo poco. In questa commistione tra enfasi e banalità riconosco il Prodi su cui si sono appuntate le critiche negli anni del suo potere. Resta il fatto che, sulla valutazione della riforma costituzionale – che è quella in discussione oggi – invece il suo giudizio è chiaro, sintetico, non esaltante ma tutt’altro che banale. Naturalmente si può ragionare criticamente sul fatto che il suo Ulivo non ha affatto operato trasformazioni costituzionali nella direzione che ora viene intrapresa. Al contrario, l’unica riforma costituzionale dell’èra prodiana è stata la stesura di un Titolo quinto, quello sui rapporti tra i diversi livelli istituzionali, talmente confusa che oggi viene completamente capovolta.

 

Dunque è Prodi che ha cambiato idea, e quindi non c’è ragione di preoccuparsi se per una volta ci si trova d’accordo con lui? E’ una risposta troppo facile, troppo rassicurante per essere davvero convincente. Forse è necessario distinguere tra il percorso politico concreto di Prodi, segnato dall’esigenza di un accordo con l’estrema sinistra che poi per due volte doveva diventare lo scoglio su cui sono naufragate le sue esperienze di governo, e l’aspirazione riformatrice che, seppure costruita su una trama tecnocratica, seppure pensata illuministicamente come una trasformazione imposta o comunque proposta dall’alto, aveva una sua consistenza, legata soprattutto a una consapevolezza dei ritardi italiani messi a confronto con un’evoluzione assai rapida del contesto internazionale.

 

Da questo punto di vista, il riformismo di Prodi appare addirittura avventuristico, basato sulla scelta di mettere l’Italia (e poi anche l’Europa) rudemente a confronto con condizioni che impongono cambiamenti. Il modo in cui ha gestito l’entrata nell’euro, pagando un prezzo esorbitante in termini di cambio con la lira, ma anche la scelta di mettere la manifattura europea alla prova della concorrenza e del dumping cinese senza la gradualità necessaria, sono due esempi di questo avventurismo, le cui conseguenze sono ancora sotto gli occhi di tutti. Se sul terreno economico ha svolto la funzione del provocatore, su quello politico e istituzionale si è invece fatto trascinare in una risacca conservatrice, magari paradossalmente contraffatta da qualche slogan estremista. Su questa vicenda del passato si può mantenere fermo il giudizio critico, che però non ha ragione di essere ripetuto nei confronti di un Prodi post-politico, che non deve più tenere insieme il diavolo e l’acqua santa, i mercati e Rifondazione comunista.

 

Se questo Prodi dà una lettura compiaciuta dell’esperienza dell’Ulivo, pazienza. E’ anzi interessante che ne tragga un succo, quello della necessità di adeguarsi a tutti i costi alle novità, che se pure può risultare poco convincente come interpretazione storica (ma è proprio difficile scrivere con equilibrio della propria storia), si può condividere come ragione per sostenere una modesta ma utile riforma costituzionale. Non c’è da preoccuparsi se si è d’accordo con Prodi su questo (e quasi solo su questo).

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