Una manifestazione per il No al referendum (foto LaPresse)

Non siamo la Grecia e nemmeno gli States

Redazione

Quel che gli sfascisti fingono di non sapere sulle conseguenze del No

Circola l’idea che in caso di vittoria del No non accadrà nulla di negativo nella finanza e nell’economia reale, come invece previsto da tutti gli esperti italiani e stranieri (tranne l’Economist, che dà due diverse versioni da Londra e da Roma). E dunque si dovrebbe votare non sul merito della riforma, ma soprattutto ignorando il fattore che l’industria e i mercati mettono sopra ogni cosa, ovunque, a meno che non si parli di Zimbabwe o Corea del nord: la stabilità politica, compresa l’ordinaria alternanza tra governi e credibili opposizioni. Anzi: il referendum è visto, dalla Lega ai grillini, come l’occasione per “rovesciare” Matteo Renzi, dando anche un calcio negli stinchi all’Europa.

 

L’instabilità diviene salvifica, e del resto la Gran Bretagna non sopravvive alla Brexit e Wall Street non è ai massimi con Donald Trump? E allora dai, divertiamoci anche noi, vediamo l’effetto che fa. Ebbene, è una pericolosa trappola. Lo spread che già fece cadere il governo Berlusconi, e lasciamo perdere i complotti, ha sfiorato in queste ore i 200 punti, quasi raddoppiando con il No in crescita nei sondaggi. Poi si è fermato, sempre ben sopra la Spagna; mentre il Tesoro pagava miliardi in più d’interessi. Ma a calmare le acque è stata la Banca centrale europea, che come ha detto Mario Draghi potrà intervenire anche dopo il 5 dicembre. Tutti sanno però che l’ombrello della Bce si chiuderà, e anche presto. I tassi stanno risalendo in tutto il mondo, il 2017 sarà un anno di campagne elettorali, Mario Draghi avrà meno margini di manovra, i Btp dovranno prepararsi a fare da soli. A loro volta i titoli pubblici italiani sono in portafoglio delle nostre banche molto più di quanto accade altrove. Intesa e Unicredit ne hanno per il 60,3 e 42,1 per cento degli asset, rispetto al 24 di Deutsche Bank per i Bund, al 30,3 di Société Générale per gli Oat, al 22,7 di Barclays per i Gilt. Il che, oltre ai problemi già noti, crea un effetto moltiplicatore che non dipende da Renzi, e che non può sfuggire a un Renato Brunetta.

 

Quanto all’industria, la stabilità, e l’ordinata alternanza di cui sopra, sono congenite a chiunque voglia investire. Certo, l’Italia non è la Grecia (ma siamo sicuri che Salvini e Grillo siano molto diversi da Tsipras?). Però non è neppure gli Stati Uniti, che assorbono l’imprevisto Trump volgendolo in positivo, grazie al passaggio non belluino dell’Amministrazione e ad una certa saggezza nelle scelte del nuovo presidente. Soprattutto non abbiamo la sterlina e il dollaro; l’euro sarà una gabbia, ma resta molto più un’opportunità. E non c’è nessuna alternativa. Chi dice il contrario spara soltanto pericolose balle.

Di più su questi argomenti: