Alessandro Di Battista ospite di Otto e Mezzo (foto LaPresse)

Le certezze di Di Battista sul referendum smontate una per una

Lorenzo Borga

L’onorevole pentastellato ha una grande dote: è capace di concentrare in poche parole un notevole numero di slogan e semplificazioni, che si scoprono spesso essere bufale

L’onorevole Alessandro Di Battista ha una grande dote: è capace di concentrare in poche parole un notevole numero di slogan e semplificazioni, che - preso dalla foga - si scoprono spesso essere errori e bufale. Una capacità preziosa nella società della post-verità, ormai ufficializzata dalla vittoria di Trump.

 

 

Un limpido esempio lo osserviamo durante la puntata di Piazza Pulita, su La7, lo scorso sabato. Di Battista, rispondendo a una domanda di Corrado Formigli sul referendum costituzionale, ha affermato "Mi dovrei vergognare a difendere la Costituzione del boom economico o la Costituzione approvata a suffragio universale nel '48?". Qui è disponibile il video. In diciannove parole ritroviamo ben tre errori, concedendo al deputato il beneficio del dubbio ed escludendo quindi che siano vere e proprie bugie intenzionali.

 

Primo. La Costituzione non è stata approvata a suffragio universale, ma dall’Assemblea Costituente composta da 556 membri, eletti – questi sì – a suffragio universale il 2 giugno 1946 (secondo il decreto legislativo luogotenenziale 151/1944), in contemporanea al referendum che sancì la forma di governo.

 

Secondo. La Costituente approvò la carta costituzionale non nel 1948, bensì il 22 dicembre 1947 con 453 voti a favore e 62 contrari. Dopo il voto in Assemblea, entrò in vigore ufficialmente il primo gennaio 1948.

 

Terzo. La riforma costituzionale Renzi-Boschi non modifica la Costituzione nelle parti originali del 1948, se non per via di accorgimenti tecnici (ad esempio il secondo comma dell’articolo 61, che dall’originale “Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” viene modificato cambiando la frase al singolare e riferendosi alla sola Camera dei Deputati) e ridotte modifiche condivise in larghissima parte (parità di genere nella rappresentanza, trasparenza della pubblica amministrazione, abbassamento del quorum abrogativo, referendum propositivi). Invece, i due pilastri della revisione costituzionale su cui siamo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre - Senato e Titolo V - vanno a modificare revisioni posteriori avvenute negli anni successivi al 1948. In particolare, il funzionamento del Senato fu modificato nel 1963 tramite le leggi costituzionali 2 e 3, che equipararono il mandato del Senato a quello della Camera, portandolo da sei a cinque anni. L’Assemblea Costituente dibatté a lungo sul funzionamento del Senato della Repubblica, proponendo prima che un terzo dei suoi componenti fossero eletti dalle assemblee regionali e due terzi dai consigli comunali, e poi che un terzo fosse scelto dalle regioni ed i due terzi dai cittadini tramite collegi uninominali (a differenza della Camera, eletta con metodo proporzionale). Questo per differenziare le due camere evitando il rischio di creare quello che il costituente Ambrosini definiva un “doppione”. Il Titolo V è invece storia nota: nel 2001 la legge costituzionale n. 3 lo modificò profondamente, garantendo alle regioni diverse competenze e definendo le competenze esclusive dello Stato, quelle concorrenti e quelle residuali, affidate appunto alle autonomie regionali.

 

È perciò falso affermare che la riforma Renzi-Boschi vada a stravolgere l’impianto del testo della Costituzione del ’48: semplicemente perché quel testo è già stato modificato e questa riforma va proprio a correggere tali cambiamenti successivi.