Beppe Grillo (foto LaPresse)

Salvini, D'Alema e gli altri portatori d'acqua del M5s

Redazione

Il referendum di domenica è ormai un ballottaggio tra Matteo Renzi e Beppe Grillo. Ecco perché chi fa campagna per il No (sì, anche il Cav.) rischia di fare il gioco dell’ex comico genovese, illudendosi di arrivare presto al potere

Tutti gli osservatori internazionali interpretano il referendum italiano di domenica prossima come una specie di ballottaggio tra Matteo Renzi e Beppe Grillo. Si dirà che si tratta di una semplificazione, ma forse invece si tratta di una lettura che, essendo meno legata al chiacchiericcio politico quotidiano, risulta più penetrante. Anche in Italia, peraltro, il senso del referendum appare come una sfida tra il cambiamento possibile, interpretato dall’attuale maggioranza, e quello illusorio presentato come palingenetico dal Movimento 5 stelle.

Se questa è la reale polarizzazione indotta dal referendum, il ruolo di altri soggetti che si considerano protagonisti, da Massimo D’Alema a Matteo Salvini, finisce col ridursi a quella di portatori d’acqua, subalterni alla prospettiva indicata, seppure confusamente, dall’ex comico genovese. Probabilmente D’Alema, o se si preferisce Pier Luigi Bersani, è consapevole di questa situazione, ma siccome considera l’abbattimento di Renzi un obiettivo che prevale su tutto, non si preoccupa d’altro. Appena meno rudimentale è la motivazione di Salvini, che è convinto che solo una situazione caotica nelle forze politiche centrali può promuovere le posizioni estreme, come pensa sia accaduto in America e si aspetta possa accadere in Francia. In sostanza D’Alema e Salvini intendono fare la terra bruciata nelle loro tradizionali aree di riferimento, annichilendo Matteo Renzi o Silvio Berlusconi, nella speranza di potere poi ereditare la leadership della sinistra e della destra tradizionali, anche se questo implica una vittoria del terzo incomodo, appunto Beppe Grillo.

Particolarmente scomoda, in questo gioco di specchi, è la situazione di Berlusconi, che è abbastanza esperto da rendersi conto che non può intestarsi una vittoria del No, ma che probabilmente si è convinto che la partita è già chiusa e quindi vale la pena di stare dalla parte dei vincitori, anche se la compagnia è tutt’altro che gradevole e gradita (e simmetricamente sopporta a fatica di stare insieme a lui). Se queste sono le ragioni o le considerazioni dei leader, più o meno tutte legate a logiche interne agli schieramenti e prevalentemente orientate da spiriti di ritorsione, non si capisce perché queste debbano ottenere automaticamente consenso nell’elettorato. Il ceto produttivo delle valli padane non ha nessun interesse a favorire l’ascesa del movimento 5 stelle, assistenzialista e antiproduttivo, gli eredi della tradizione riformista del Pci, abituati a cercare intese che producano qualche risultato seppure parziale, non si capisce perché dovrebbero questa volta giocare la carta dello sfascio. C’è da sperare, insomma, che i portatori d’acqua al mulino di Grillo si trovino a non poterne convogliare abbastanza perché gli elettori si rendono conto del pericolo di essere usati malamente.