Sergio Marchionne e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Nonostante l'Economist

Redazione

Prodi fa l’altalena, il business invece sul voto ci ha messo la faccia

Poche cose uniscono Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan, Marcello Clarich, presidente della Fondazione Mps, Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fca, Philippe Donnet, ad delle Generali, Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria, il capo di Mediaset Fedele Confalonieri e quello di Cir Rodolfo De Benedetti. E come loro il 98 per cento dei top manager italiani o che hanno affari in Italia, secondo un sondaggio di Bloomberg: i quali, nonostante gli interessi per definizione in concorrenza, sono per il Sì al referendum, nel merito della riforma e in nome della stabilità. Ed è un Sì, come anche i rari casi di No, dichiarato mettendoci la faccia (nonostante l’invito a votare No alla riforma arrivato ieri dalle pagine dell’Economist). Un coraggio (chiamiamo le cose per nome: non è facile trattare con i poteri pubblici italiani) che fa a botte con i tentennamenti e i bizantinismi di politici che pure, a differenza delle aziende, hanno il compito di parlare chiaro.

 

 

Atteggiamento poi amplificato da surreali retroscena. E dunque non basta il Sì di nicchia e “indifferente alla riforma” del Pd Fabrizio Barca. Ecco una paginata del Corriere della Sera sul “Lo dico, non lo dico” di Romano Prodi: “Non esclude di votare Sì, ma è combattuto, studia tutte le possibili derivate”. Sull’altro fronte è ormai un genere letterario il No di Silvio Berlusconi, che vorrebbe dire Sì un giorno per il bene aziendale, un altro per ribrezzo verso Beppe Grillo, e sempre perché “Renzi è l’unico politico sulla piazza”. Le capriole del Cav. non scandalizzano, anzi. Ma resta il bizzarro contrasto tra politici in piena sindrome da contorcimento, e la schiettezza di industriali e manager. Imparare, please.