Matteo Salvini (foto LaPresse)

Trump vince in America, e nella politica italiana adesso che succede?

Salvatore Merlo
Secondo Polito, “per vincere le elezioni non è più necessario inseguire il centro, il voto moderato. Berlusconi, per esempio, si alleava con Bossi, ma poi sapeva sempre riportarsi al centro. Adesso invece si dimostra una novità: si può vincere con una piattaforma radicale. Non era mai accaduto nel dopoguerra”.

Roma. Ringalluzzisce la destra populista, dunque Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma anche il Movimento cinque stelle, “tutti quei partiti forti ma finora non ancora legittimati a prendere il potere”, come dice Antonio Polito, il vicedirettore del Corriere della Sera, “quei movimenti molto consistenti dal punto di vista elettorale ma un po’ derelitti, laceri, non solo in Italia, ma anche in Europa, penso a Marine Le Pen in Francia e a Frauke Petry in Germania, che adesso possono dire: ‘Guardate, il nostro faro, il nostro capo supremo è alla Casa Bianca”. E insomma la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti precipita forse con qualche conseguenza anche nel tumultuoso sistema politico italiano, malgrado, come dice per esempio Alessandro Campi, professore all’Università di Perugia, politologo, “l’Italia ha abbondantemente anticipato Trump con Berlusconi, e poi con Grillo, con la disarticolazione delle culture politiche, con l’emergere di leader eccentrici e dalla grammatica sbrigliata. Se infatti ci pensate, anche Berlusconi, nel ‘94, era un miliardario anti establishment, un marziano, sebbene il suo linguaggio non sia mai stato eccessivo come quello di Trump. Berlusconi era più elegante, più compos sui (e d’altra parte a quel coté esagitato pensava Umberto Bossi)”. 

 

Ma adesso il nuovo presidente americano è la conferma che il vento della storia ha preso a spirare con forza forse tutto da una parte, “viviamo un periodo storico che sembra quello descritto nel 1930 da Ortega y Gasset, quando parlava di ribellione delle masse come fallimento delle élite”, dice Giovanni Orsina, professore, politologo della Luiss, “con la differenza che l’America, rispetto all’Italia, ha un sistema istituzionale fortissimo. Solido. Gli effetti della vittoria di Trump nel nostro paese li misureremo con il tempo: lui potrebbe anche fallire, diventare il Virginia Raggi del mondo”. Ma potrebbe anche funzionare, aggiunge Orsina, “e rivelare che non ci sono sfracelli alle porte, come per la Brexit". 

 

E così, che sia un successo o fallimento, nel frattempo, “Trump diventerà un modello pure in Italia anche se cronologicamente non lo è”, dice Polito, “ed è evidente come tutti coloro i quali cavalcano l’idea della lotta contro l’establishment adesso vedano, con lui, improvvisamente accelerare il proprio metabolismo. Si afferma infatti l’idea che ribellarsi non è soltanto giusto, ma doveroso, e persino vincente”. Con una novità fortissima, che si segnala in termini di analisi politica, che può valere anche per l’Italia, e che Campi sintetizza in questo modo: “Per vincere le elezioni non è più necessario inseguire il centro, il voto moderato. Berlusconi, per esempio, si alleava con Bossi, ma poi sapeva sempre riportarsi al centro, perché quello era l’unico modo di conquistare la maggioranza dei moderati. E questo principio valeva in Italia, come in Francia e come in America. Adesso invece si dimostra una novità: si può vincere con una piattaforma radicale. Non era mai accaduto nel dopoguerra”.

 

E allora che succede, o meglio, cosa potrebbe accadere in Italia, per esempio nella destra debilitata e amletica, sospesa tra urla e moderatismo, tra Salvini e Stefano Parisi? “Che Salvini si rafforza”, risponde Polito. “Parisi rappresenta l’orizzonte della larghe intese, come Juppe in Francia, o come la Cdu in Germania, rappresenta cioè la risposta comune di una destra e di una sinistra che si abbracciano e uniscono le forze di fronte alle sfide del populismo. Mentre l’arrivo di Trump è invece un ciclone, dimostra a Salvini che i voti moderati si possono anche rifiutare”. E il governo, Matteo Renzi, il referendum costituzionale del 4 dicembre? “E’ impossibile che non ci sia un effetto sul referendum”, dice Orsina, “la sensazione è questa: se tutto il mondo, persino l’America, va nella direzione della protesta, vuoi vedere che hanno ragione loro?”. E quindi si vota No, vince il No, “il riflesso d’ordine è l’unica speranza di Renzi”, conclude Polito, “l’ultima speranza è comunicare alla maggioranza silenziosa un messaggio di questo tipo: ‘Attenti, perché se vince il No succede un disastro, piovono rane’. Ma credo prevarrà l’onda trumpiana, il movimento internazionale anti-establishment”. E poi? “E chi lo sa”. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.