Massimo D'Alema alla Festa dell'Unità a Catania (foto LaPresse)

Referendum e non solo

La grillizzazione di D'Alema vista in diretta alla festa del Pd di Catania (e spiegata in sei punti)

Rocco Todero

Al dibattito con Cerasa e Gentiloni D'Alema è apparso efficace e scatenato sul no al referendum, tra populismi facili e lisciate di pelo. Ecco tutto quello che c'è da sapere per capire la nuova fase dell'ex presidente del Consiglio.

Alla festa nazionale dell’Unità che si sta svolgendo quest'anno a Catania ha tenuto banco martedì 30 agosto il dibattito, moderato dal direttore di questo giornale Claudio Cerasa, fra Massimo D’Alema e Paolo Gentiloni.

 

D’Alema è apparso particolarmente efficace da un punto di vista dialettico, e, in un crescendo di accuse e battute al vetriolo contro Matteo Renzi, il Governo e la maggioranza che lo sostiene, ha occupato buona parte del tempo a sua disposizione a spiegare le ragioni del no al referendum costituzionale ed alla legge elettorale per l’elezione dei deputati che sarà sottoposta ad ottobre al vaglio della Corte costituzionale.

 

A tenere testa a D’Alema un Paolo Gentiloni che ne ha subito non poco l’esuberanza ma che è stato capace di ribattere punto per punto alle critiche del suo interlocutore e che ne ha di continuo richiamato la biografia politica per sottolineare incoerenze e contraddittorietà fra ciò che dice oggi nelle vesti di implacabile censore comodamente seduto a Bruxelles e ciò che ha fatto ieri nei panni del politico realista costretto a barcamenarsi fra i compromessi nella tempesta delle vicende nazionali.

 


 


 

Solo una volta nel corso della serata D’Alema è sembrato accusare il colpo, allorché il direttore Cerasa ha provocatoriamente e scherzosamente chiesto alla platea in sala di esprimere il proprio gradimento su D’Alema possibile prossimo segretario del PD raccogliendo un consenso men che misero a favore dell’ex Presidente del Consiglio. Stoccata netta ed ego del leader massimo momentaneamente ridimensionato.

 

D’Alema però per tutta la serata ha continuato a lisciare il pelo ad un certo populismo di marca grillina, andando alla ricerca del consenso e dell’applauso facile, allontanandosi così non poco dalla figura del fine ragionatore capace di dire (come gli è capitato spesso in passato) cose spiacevoli anche per il vasto pubblico degli elettori.

 

Lisciata di pelo n. 1) D’Alema ha accusato la maggioranza di Governo e l’esecutivo stesso di avere proceduto alla redazione e all’approvazione della riforma costituzionale senza alcuna legittimazione popolare proveniente dalle elezioni politiche generali. Sono seguiti applausi a cielo aperto da parte del pubblico presente.Livello di populismo: 10 L’ex Presidente del Consiglio, alla stregua di un grillino qualunque, ha fatto finta di dimenticare che la Repubblica Italiana è una democrazia parlamentare all’interno della quale la legittimazione del Governo deriva esclusivamente dal voto di fiducia delle due camere e che le assemblee parlamentari non perdono legittimazione (come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n.1/2014) nemmeno successivamente alla dichiarazione di incostituzionalità delle legge elettorale in virtù della quale sono stati assegnati i seggi parlamentari.

 

Lisciata di pelo n. 2) L’ex segretario dei DS ha rimproverato al gruppo dirigente del PD di avere modificato più di 40 articoli della Costituzione in una sola volta. Impresa non all’altezza evidentemente della pochezza culturale dei novelli costituenti e che rischia di ingenerare solo confusione fra i cittadini italiani. Sono seguiti applausi sonori del pubblico piddino.

 

Livello di populismo:7. D’Alema, che la riforma costituzionale l’ha letta di certo, ha omesso con malignità di dire che la revisione in realtà riguarda aspetti limitati del testo della Carta fondamentale e che il numero degli articoli modificati è solo apparentemente elevato perché moltissime disposizioni sono modificate esclusivamente per la necessità di eliminare la parola “ Senato” o “ Camere” al plurale,senza che ne muti per il resto il significato.

 

Lisciata di pelo n. 3) Irragionevole, al limite del ridicolo, risulterebbe la modifica approvata dal Parlamento relativa alla composizione del senato per mezzo di rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali i quali non avrebbero tempo per occuparsi dei molteplici incarichi che gli verrebbero affidati in una Repubblica, per di più, non ancora d’impronta federale. Applausi scroscianti.

 

Livello di populismo:8. Il leader Massimo mena vanto di letture che gli consentono analisi approfondite sui temi delle riforme istituzionali e richiama ad ogni piè sospinto l’acume e l’intelligenza dei padri costituenti. Difficile allora pensare che non sappia come già in assemblea costituente da più parti (vedere alla voce Costantino Mortati ad esempio) si propose una composizione del senato identica a quella sottoposta oggi al giudizio referendario. Impossibile  poi ritenere che uno dei sottoscrittori del patto della crostata non ricordi che la commissione affari costituzionali presieduta da Violante propose che al senato fosse sottratta la questione di fiducia al governo e che a comporre questa camera fossero rappresentanti delle regioni e degli enti locali, tutto conformemente a quanto previsto dalla riforma costituzionale di marca renziana.

 

Lisciata di pelo n. 4) Il dissenso di numerosissimi costituzionalisti e di ex giudici e presidenti della Consulta testimonierebbe oltre ogni ragionevole dubbio dell’infimo livello della riforma costituzionale. Approvazione generale del pubblico in sala.
Livello di populismo:6. D’Alema sa, ma non lo dice, che l’opinione dei docenti di diritto costituzionale italiani sulla revisione costituzionale non è unanime e che si sono espressi a favore della riforma numerosissimi studiosi di altissimo livello accademico. Incalzato da Gentiloni D’Alema è stato costretto infatti a correggere il tiro e a riconoscere che il dissenso è prevalente più che altro fra i costituzionalisti da sempre vicini al centro sinistra.

 

Lisciata di pelo (pro domo sua) n. 5. Il PD rischia una deriva autoritaria. Persino sotto la guida di Togliatti fu permesso a Concetto Marchesi di votare in dissenso rispetto alla posizione assunta dall’intero PCI sulla questione dei patti Lateranensi di cui all’articolo 7 della Costituzione. Oggi questi grandi insegnamenti di democrazia interna al partito sono stati del tutto dimenticati e D’Alema vestirebbe i panni di vittima sacrificata all’unanimismo antidemocratico della reggenza renziana. È seguita Ovazione assordante.

 

Livello di populismo 10. La questione non è a tutti nota, ma D’Alema sa di certo che Concetto Marchesi poté votare in dissenso rispetto alla decisione assunta dal proprio partito limitatamente alla questione dei patti laceramenti ed esclusivamente in ragione di una vera e propria autorizzazione ad hoc richiesta a Palmiro Togliatti e da questi  appunto concessa anche per ragioni strumentali. Senza il permesso dell’allora segretario del partito comunista evidentemente le sorti politiche del costituente siciliano sarebbero state ben diverse.

 

Lisciata di pelo (pro domo sua bis) n. 6. D’Alema ha affermato di non essere in cerca di visibilità, di incarichi di partito o di governo. Lui, ha detto testualmente, un lavoro vero se lo è cercato altrove, a Bruxelles. Standing ovation degli elettori piddini.
Livello di populismo: fuori dalla scala di misurazione grillina.