Romano Prodi (foto LaPresse)

La seconda vita possibile di Romano Prodi

Giuliano Ferrara
L’ex premier deve decidere se lasciarsi corteggiare da Renzi e compagni sul referendum. Il posto di padre della svolta, che una volta sembrava destinato paradossalmente al Cav., è libero e occuparlo sarebbe un affare niente male.

Il bolognese Prodi, si capisce, s’intende bene con Enrico Letta, pisano, via Arel e la memoria del professor Andreatta, maestro di color che sanno nell’ambito dell’ex Ulivo. Ma il giovin signore è a Parigi, è diventato homo sorboniensis, insegna la politica (chi sa fare fa, chi non sa fare insegna: così fu detto). Non male anche l’intesa di Prodi con Bersani, suo ex ministro padano, riformista e anche uomo d’apparato, un tipo spesso, solido. Per uno come Prodi, che ha nelle vene la cultura politica e sociale della Democrazia cristiana d’antan, E. Letta va un po’ sul tecnocratico, ma se non fosse lontano e tutto preso nella didattica,  sarebbe bon à tout faire, è flessibile.  Bersani, postcomunista, non ha praticamente difetti, a parte certe tigne e certi inciampi di manovra politica, tra i quali l’aver annunciato Prodi al Quirinale e il doversi ritrovare lui stesso a casa, con il candidato silurato dai famosi centouno dell’ex Ulivo.

 

Veltroni e D’Alema forse erano meno aleatori, quanto a manovra, ed erano essenziali per comporre la coalizione e per mettere alle corde le smanie di Bertinotti, ma intanto si coniugano più o meno all’imperfetto, ora, da ex parlamentari e signorotti ambiziosi ma solo delle loro imprese e fondazioni culturali. D’Alema poi è tanto amico quanto nemico, nel ricordo dell’ex presidente del Consiglio, ex capo dell’Unione europea, ex capo dell’Ulivo e della strana creatura chiamata Unione. Si sono scambiati molto, i due, Prodi sembrava aver ricevuto di più, ma poi, all’atto pratico, si sono messi delle corna epiche, e D’Alema fece salti mortali per dissellare quel flaccidone di Bologna, per prendere il posto di colui che pretendeva di comandare e sedere a capotavola quando uno dei commensali era appunto lui, D’Alema. Brutto affare. E chissà se i suoi erano anche loro tra i centouno.

 

Ora Renzi corteggia Prodi. In modo ostentato, nei comizi, alle feste popolari, e lo cita, e menziona i suoi avversari storici dannandoli, e gli fa la danza del ventre con giovanile ardore. Renzi ha cambiato marcia, si è fatto l’autocritica, non fa più l’eroe solitario che ci mette la faccia, vira sul pedagogico, la discussione nel merito, e cerca convergenze decisive per vincere senza stravincere, concedendo terreno a coloro che cerca di portare sotto la tenda. E il vecchio Prodi deve decidere se lasciarsi corteggiare, e magari fidanzarsi in occasione del referendum. Con dignità, non senza riserve che si prolungherebbero nel caso insino al matrimonio, con senso pratico e poca cerimoniosità. Forse poi sarà il momento di una sorpresina gentile, alla Benigni: sì, va bene, ho tante riserve, lavoro per glorie future unitarie, certe arroganze del giovanotto non mi vanno bene, il riformismo con le scarpe chiodate non è la mia tazza di tè, il giovanilismo non mi piace, la Leopolda è una vecchia stazione di Firenze e io sono proprio di Bologna, ma intanto a dire di no non gliela fo, preferisco dire sì alla fine del bicameralismo, e chiudiamola lì.

 

Se Prodi ci stesse, almeno a uno struscio senza più gravi conseguenze, farebbe qualcosa che gli assomiglia, sarebbe considerato coerente con i presupposti del suo riformismo cattolico e democristiano, con l’idea di una media e umile Italia appenninica che alla fine ci sta a risolvere i problemi, e ci riesce pure, magari contro Milano e contro Roma, che marciano l’una contro l’altra, salvo l’incognita al futuro della nuova stella di Stefano Parisi. Certo non è stagione più di promesse, i posti sono tutti occupati e per lungo tempo, a quanto pare, ma il posto libero di padre della svolta, che una volta paradossalmente sembrava destinato al Cavaliere e domani chissà, bè, quel posto sarebbe proprio il tuorlo dell’uovo per un tipo come Prodi. O mi sbaglio?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.