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I giochi di prestigio sulle leggi retroattive

Rocco Todero

Non solo il caso di Berlusconi e la legge Severino. La Consulta ha sentenziato che se una legge prevede sanzione amministrativa più mite della precedente non si applica se il reato si è verificato sotto la vigenza della legge con la sanzione più grave. Appunti sul senso della Corte Costituzionale per la libertà individuale.

Dal Palazzo della Consulta, dove ha sede la Corte costituzionale, si cannoneggia di tanto in tanto contro la libertà individuale dei cittadini italiani utilizzando l’arma dal calibro grosso dell’efficacia della legge nel tempo. Non è bastata la sentenza sulla legge Severino con la quale i giudici costituzionali hanno ritenuto legittima l’applicazione retroattiva di quella che a tutti gli effetti è una sanzione limitativa della libertà personale, vale a dire la sospensione dell’esercizio di un diritto politico costituzionalmente tutelato.

 

Qualche giorno fa alla Consulta sono andati oltre affermando che la legge successiva che prevede una sanzione amministrativa più mite per il trasgressore non si applica alla fattispecie verificatasi sotto la vigenza della legge che prevedeva la sanzione più grave. In altre parole, se al momento in cui è stata commessa la violazione la sanzione prevista era di 1.000 euro ma al momento in cui la si deve concretamente applicare il legislatore l’ha ridotta a 500, si continuerà a pagare di più invece che di meno. E ciò nonostante almeno tre considerazioni obbligherebbero a concludere in senso contrario a quanto ha deciso la Corte. Innanzitutto le sanzioni amministrative hanno un evidente effetto punitivo che risulta essere quasi sempre più grave rispetto a condanne penali lievi e condizionalmente sospese che rimangono lettera morta sul casellario giudiziario (chiedere agli imprenditori colpiti da sanzioni per centinaia di migliaia di euro per violazione della legislazione sul lavoro e della normativa tributaria). In secondo luogo considerato che l’articolo 2 del codice penale prevede che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, non si comprende perché il principio contenuto nella disposizione penale non debba valere anche per le sanzioni amministrative alla luce del loro evidente carattere afflittivo. Infine, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sempre affermato che a prescindere dalla formale qualificazione giuridica che l’ordinamento interno assegni alla sanzione il contenuto punitivo della stessa è sufficiente ad inserirla nel novero delle pene, con tutte le conseguenze che ne discendono, compresa (aggiungiamo noi) la necessità di ritenere applicabile la retroattività della legge più favorevole, con buona pace di quella che sempre la Corte europea definisce “ la frode delle etichette”, cioè il tentativo dell’ordinamento italiano di chiamare pesce ciò che in realtà è carne.

 

L’effetto della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di efficacia della legge nel tempo, invece, consiste nel riconoscimento in capo al legislatore di una discrezionalità assoluta (prossima all’arbitrio) nel disporre della libertà dei cittadini.

 

La Corte costituzionale, infatti, ha affermato allo stesso tempo che:

 

1) il divieto di retroattività è previsto espressamente dalla Costituzione Repubblicana per la sola legge penale;

2) tuttavia esso (codificato nell’articolo 11 delle preleggi introdotte con Regio Decreto del 1942) è un principio generale di rango costituzionale posto a salvaguardia della libertà personale a cui può derogarsi solo dinanzi alla necessità di tutelare interessi pubblici di primario rilievo che di volta in volta saranno selezionati dal legislatore;

3) il principio del favor rei codificato nell’articolo 2 del codice penale non assurge a rango costituzionale cosicché esso potrebbe essere negletto dal legislatore ordinario tanto in ambito penale quanto per le sanzioni amministrative.

 

In sostanza; ora si applicano sanzioni retroattive a condotte commesse sotto il regime di una più tenue disciplina, ora si applicano sanzioni più gravi a fatti per i quali il legislatore ha introdotto una condanna più lieve. E’ la discrezionalità del legislatore ordinario a dettare le regole. La Corte può sindacare l’esercizio della funzione legislativa esclusivamente allorché essa risulti affetta da irragionevolezza manifesta. Concetto quest’ultimo che non si è mai capito bene cosa voglia indicare.

 

Siamo sicuri che non vi sia nulla da modificare e che si possa andare avanti così?

 

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