Sarpol-e Zahab, Iran, dopo il terremoto. Foto LaPresse/Xinhua

Ai curdi mancava solo il terremoto

Adriano Sofri

Come succede quando pressoché tutto è perduto, si moltiplicano barzellette e montaggi satirici. E intanto governi e partiti si rinfacciano la colpa  

Le notizie sul terremoto di domenica, il cui epicentro era vicino a Halabja, forse serviranno a far ricordare questo nome che è ancora largamente ignorato in Europa. La popolazione civile curda di Halabja fu bombardata per ore dall’aviazione di Saddam Hussein, il 16 marzo 1988, col gas al cianuro. I morti furono circa cinquemila, gli effetti sui sopravvissuti sono stati terribili e hanno colpito anche quelli che non erano ancora nati. La più vasta strage coi gas dopo Auschwitz, anche qui in un deliberato programma genocida. Le perdite del terremoto sono state ora minori a Halabja e molto più gravi subito oltre il confine, nei paesi curdi dell’Iran dove i morti si contano a centinaia e i senza casa a decine di migliaia.

  

Nel pomeriggio di domenica ero in giro con dei giovani amici curdi e commentavamo il malanno che aveva colpito l’anziano comandante peshmerga e leader del Puk Kosrat, la persona cui più si affidano le infime speranze residue di limitare la disfatta. Ho spiegato loro l’espressione italiana: Piove sul bagnato. In curdo non c’è, forse perché è così raro che piova. Anche gli ombrelli sono rari, quando piove la gente sembra contenta di prenderla sulla testa. Di sera, dopo il terremoto, i miei amici mi hanno chiamato per dirmi: “Piove sul bagnato”. Non avevo mai sentito scosse così forti: il ristorante in cui cenavamo ad acqua somigliava d’un tratto all’Oktoberfest, coi commensali che ondeggiavano di qua e di là. E l’hanno presa quasi tutti con gran calma, come se fossero in dubbio fra mettersi al sicuro per strada o non lasciare a mezzo il kebab. Ho pensato che dipendesse dalla disabitudine, poi ho visto i filmati di altri locali di Erbil in cui c’era stato un doveroso panico. Un punto per il mio ristorante. Ci mancava solo il terremoto, è il sentimento dei curdi. I quali già da parecchi giorni, come succede quando pressoché tutto è perduto, moltiplicano barzellette e montaggi satirici. Oggi, accanto agli inevitabili ammonimenti superstiziosi sul castigo di Dio, giravano sui social delle variazioni sul tema: Di chi è la colpa del terremoto. “Il Pdk dice che è colpa di Bafel Talabani. Il Puk dice che è colpa di Masud Barzani. Il Gorran /il terzo partito, e “terzista”/ dice che la colpa è del Pdk e del Puk. Il governo iracheno e il governo regionale curdo si rinfacciano la colpa. I partiti islamici dicono che è colpa dei nightclub e dei bar”.

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