Un peshmerga curdo nei pressi di Bashiqah, in Iraq (foto LaPresse)

In medio oriente la geografia ha ormai preso il sopravvento sulla storia

Adriano Sofri

Lo spettro della Grande Guerra non più per interposta persona

Che grazie al mattatoio siriano l’Iran di al Quds e dei pasdaran sia enormemente rafforzato è evidente, e Daniele Raineri l’ha appena spiegato qui. Dico dei pasdaran, e del posto prediletto che occupano nel cuore dell’ayatollah supremo Khamenei, perché l’Iran è un gran paese con una sua società civile vivace, colta, castigata e tenuta a freno ma non al punto di cessare d’essere promettente. La stessa promessa vale per la Turchia spaccata a metà, benché la repressione vi abbia raggiunto proporzioni demografiche, per così dire.

 

Non vale altrettanto per l’Arabia Saudita, dove perciò le avventurose mosse del principe ereditario sono benvenute, non potendosi immaginare là che sia un movimento civile diffuso a imporre un cambiamento, e un cambiamento dall’alto così ambiguo nei suoi propositi ma così impetuoso nei suoi effetti era la sola eventualità. Cioè, non lo era nemmeno, e nessuno se la sarebbe aspettata di tale portata e spettacolarità: un trentaduenne che arresta i principi, dà la patente alle donne e mette sotto sequestro 800 miliardi di dollari è roba dell’altro mondo. Torniamo all’Iran. Ho ascoltato l’altro giorno sul Corriere un commento di Antonio Ferrari. Ferrari sa tante cose più di me che sto attento a quello che dice, questa volta restandone sconcertato. Egli denuncia una “smania di demonizzare l’Iran”. Trasformarlo nel più grande pericolo del mondo è una colossale sciocchezza, dice: ci mancherebbe altro, la gara al pericolo più grosso esorbita di agguerriti coridori. Qui Ferrari cede la parola a Uri Avnery, vecchio e glorioso militante dell’opposizione israeliana, il quale assicura di dormire tranquillo davanti all’eventualità dell’atomica iraniana (ma con un occhio solo, precisa poi) perché i mullah non sono pazzi e sanno che il suo impiego lascerebbe comunque a Israele una replica atomica tale da distruggere l’Iran.

 

Non discuto questo aspetto, benché trovi che la storia abbia innumerevoli dimostrazioni della pazzia che si accompagna al potere, e che sia meglio organizzare dei turni di veglia. Penso piuttosto che la mancanza di distinzione fra l’espansionismo iraniano e il programma atomico sia fonte di equivoci e guai. Il programma atomico iraniano può essere arginato e dilazionato, come fa l’accordo, ma non ostacola affatto l’espansionismo militare iraniano. Qui Ferrari, se non fraintendo io, ha frainteso il ragionamento di Avnery (che trovate in inglese sul suo blog). Ben Gurion, dice Avnery, mirava ad avvicinarsi ai musulmani “non arabi”, iraniani compresi, per neutralizzare l’assedio degli arabi. Ma questa strategia, che a Ferrari sembra da riproporre oggi, è esattamente quella che Avnery dimostra fallimentare, e del resto Avnery ha impegnato gran parte della sua vita militante a perseguire la convivenza fra Israele e palestinesi e arabi.

 

In ogni caso, il quadro rievocato da Avnery-Ferrari riguardava i nazionalismi; ma oggi il settarismo religioso prevale sul nazionalismo, o piuttosto il nazionalismo, l’“etnicismo”, si serve soprattutto del settarismo religioso. Iran (in maggioranza persiano) e Iraq (in maggioranza arabo) si fecero una guerra quasi decennale e ferocissima; oggi sono sempre più strettamente alleati facendo prevalere la comune maggioranza sciita. Il tentativo perseguito dagli Stati Uniti di staccare l’Iraq dal patronato iraniano riportandolo a un’alleanza araba, che fa capo all’Arabia Saudita, ne prende atto, con due punti debolissimi: che l’influenza iraniana su Baghdad è preponderante, proprio per quel primato della geografia che Ferrari ritiene da Avnery e Avnery da Napoleone; e che la strategia di opporre una supposta identità comune etnica a una religiosa è contraddittoria alla radice, in un territorio nel quale bisognerebbe rompere le frontiere e immaginare una convivenza pacifica perché umana. Dopo la Seconda guerra, che non fu meno barbara di quelle che si vanno combattendo in medio oriente, successe con la lenta unione europea – carbone e acciaio, petrolio… Putin, artista di circo della spregiudicatezza, si è messo in Siria pressoché a capo di un’alleanza sciita, e da quella posizione di forza riconquistata e soffiata sotto il naso a Obama, offre la propria ala e le proprie forniture a tutti, curdi e sauditi compresi.

 

L’Iran ha una strategia chiara che ha fatto enormi progressi: egemonizzare forze militarmente e politicamente potenti nella sua area di influenza, veri stati negli stati, com’è per Hezbollah in Libano e per le milizie sciite in Siria, oltre alla lunga mano sulla dirigenza alauita, per gli Houthi in Yemen e per le milizie Ashd al Shaabi in Iraq. Oggi è il Kurdistan iracheno a subire il primato della geografia sulla storia: un’isola senza mare circondata da potenze voraci, Turchia e Iran-Iraq (e la Siria in quello stato). La scommessa del referendum post-Isis puntava sulla storia: americani ed europei non avrebbero permesso che il loro esercito di terra venisse abbandonato all’invasione iracheno-iraniana. La storia li ha traditi, insieme alle loro divisioni. In passato gli scherzi della storia li avevano sottratti spericolatamente al genocidio e alla soggezione: nel 1991 la no-fly zone degli americani di Bush padre, che pure avevano deciso in extremis di tenere in sella Saddam in rotta dal Kuwait; nel 2003 la malaugurata guerra di Bush figlio, che però ai curdi regalò un’autonomia regionale, pressoché raddoppiata nella guerra contro l’Isis. Lo scorso 16 ottobre, in una notte, la geografia, cioè l’Iran, si è portata via tutta quella storia e Kirkuk e i pozzi e lo stesso nome del Governo regionale curdo. Succede che piccoli popoli soverchiati da vicini geograficamente esuberanti leghino le proprie fortune (o la riduzione delle proprie sfortune) ai calcoli cinici o sbagliati delle potenze remote, di Trump o di Netanyahu. Questa volta è successo il contrario – finora, almeno. L’Iran, quello di Qassem Soleimani e dei pasdaran, spadroneggia. Cattiva notizia anche per l’altro Iran. Così finora. Domani può cominciare la Grande guerra non più interposta fra Iran e Arabia Saudita e tutto va di nuovo a gambe all’aria, geografia e storia.

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