Kim Jong-un

Il progresso ha portato a rimuovere tutti i tabù e neanche l'atomica fa più paura

Adriano Sofri

La storia rimossa e le generazioni senza memoria

Lo scorso 13 aprile fu spettacolarmente sganciata su un’area di montagna e caverne dell’Afghanistan occupata da miliziani dell’Isis la GBU-43 Massive Ordnance Air Blast Bomb, più affabilmente detta Mother of all bombs: Madre di tutte le bombe. Il più potente di tutti gli ordigni esplosivi non nucleari, si spiegò allora: una potenza equivalente a due terzi dell’atomica di Hiroshima. Apprendemmo che i russi sostengono di averne una analoga ancora più potente, e che il suo affettuoso nomignolo è di “Padre di tutte le bombe”. L’effetto pubblicitario della cosa – qualcuno suggerì che fosse un messaggio a Pyongyang – è piuttosto ridicolizzato dall’annuncio del test nordcoreano che ha avuto, pare, una potenza superiore di dieci volte all’atomica di Hiroshima.

 

Nell’agosto 1945 Hiroshima, e Nagasaki che passò come una sua appendice, fecero meno vittime di altri bombardamenti aerei convenzionali, compreso quello di Tokyo del febbraio 1945, ma furono sentite come una svolta nella storia del genere umano e del pianeta: come una profezia della possibilità di una creazione alla rovescia, una distruzione improvvisa e universale per mano umana. Hiroshima fece pesare sugli umani usciti dalla Seconda guerra mondiale un’angoscia nuova e tetra. Si denunciò perfino, l’incubo di Hiroshima, perché il suo ricatto faceva ridurre e dimenticare l’orrore di Auschwitz, in una concorrenza fra la minacciata fine del mondo e la perpetrata fine di un mondo. Due o tre generazioni vissero e nacquero in quella nuova paura. Atomico diventò l’aggettivo più spaventoso e familiare, erano atomiche anche le dive di Hollywood. L’intera Guerra fredda si svolse sotto quel cielo atomico, scandita dalla gara dei test nucleari, culminata spettacolarmente nella crisi dei missili a Cuba del 1962. (Ma altre volte si arrivò sull’orlo della guerra nucleare, come raccontano le agende postume). Nell’atomica era culminata la hybris umana, e ora la sfida riguardava la capacità di fermarsi: non era mai successo, non è mai successo che una cosa diventata tecnicamente possibile e sperimentata non venisse mai più ripetuta.

 

E’ la lezione quotidiana delle biotecnologie, per esempio. Ciò che può essere fatto, viene fatto e ripetuto. L’impegno a non ripetere l’uso militare della potenza nucleare fu universalmente proclamato, benché gli arsenali nucleari si riempissero a gara fra le due superpotenze e si estendessero via via ad altre, in barba ai trattati di non proliferazione. Gli umani della generazione che aveva visto Hiroshima o che era nata a ridosso del suo ricordo conobbero questo sentimento sacro della bomba: bisognava che l’umanità ne fosse esorcizzata, perché ne andava della sua sopravvivenza. Alberto Moravia, in Italia, ne fece un suo ininterrotto scongiuro: bisognava che l’atomica diventasse un tabù, e con lei la guerra dell’epoca atomica, come era diventato un tabù l’incesto.

 

Non è successo. Le nuove generazioni che non avevano più quella memoria e le vecchie generazioni stremate dall’abitudine hanno via via sostituito alla paura e l’orrore per l’atomica la più facile rimozione. La bomba atomica e la bomba H si sono familiarizzate, la terra e i mari ne sono pieni, sono onnipresenti e innocue come un mondo di ombra. Ci sono almeno 15 mila testate nucleari dispiegate su vettori o immagazzinate. Attorno a un solo scienziato, A.Q. Khan, girò la provvista nucleare di Pakistan, Libia, Iran e Corea del nord. E ci si è abituati anche alla minimizzazione, che coincide con la miniaturizzazione e l’addomesticamento: bombe nucleari possono essere impiegate senza evocare più la conflagrazione globale che segnò l’immaginazione degli spettatori di Hiroshima. Ora si fanno ipotesi sulla bomba H di Kim Jong-un e su costi e ricavi eventuali di un conflitto nucleare nella porzione del pianeta compresa nel raggio d’azione dei suoi missili balistici. Il progresso ha un vero culmine: la rimozione di tutti i tabù. Kim Jong-un è pazzo, noi anche.