Lesbo, il cimitero di salvagenti, barche e gommoni nella zona nord dell'isola (foto LaPresse)

Fine corsa

Adriano Sofri

Bill Gates avrà pensato che quella sua idea così sensata, che bisogna rendere più difficili gli sbarchi di migranti, passerà molto probabilmente attraverso una strage?

C’è una precipitazione, nel senso chimico. Si è raggiunto il punto di insolubilità – la chiamano insostenibilità, le autorità costituite. Si crede di ricostruire le cause che hanno dato al fenomeno un’accelerazione irresistibile, ma si tratta solo di sintomi: un magistrato di Catania fuori di misura, le ong messe all’ingrosso nell’angolo, la cifra di 2.000 annegati in mezzo 2017 passata inosservata, i 5 stelle che si spostano di colpo da prua a poppa, un nuovo ministro dell’Interno che si ingegna di chiudere il porto quando i buoi sono scappati, dei risultati elettorali inesorabili come sondaggi, Bill Gates che avverte che conviene rendere difficili gli arrivi, i sondaggi che certificano che il 95 per cento degli italiani la pensa come Bill Gates. Fine corsa. La cosa più facile da prevedere è una impressionante strage in mare, forse un nuovo record. Possono volerla i mercanti di barche, possono paventarla o inconsciamente augurarla i volontari offesi e frustrati, possono semplicemente determinarla le circostanze: se alcuni dei salvataggi che si facevano non si fanno più, i fuggiaschi non diminuiscono certo in proporzione. Quelli in esubero annegheranno. È successo altre volte.

  

A Lampedusa nell’ottobre 2013, nel Canale di Sicilia nell’aprile 2015 furono centinaia e centinaia. Questa volta però non ci sarà commozione, indignazione, impegno al soccorso. Questa volta ci sarà rassegnazione, realismo, come per uno scotto da pagare, un passaggio indispensabile alla svolta che gli uni auspicano e cui gli altri si rassegnano. Bill Gates non è cattivo, credo, al contrario: ha adottato mezzo mondo, in privato e in pubblico. Avrei voluto chiedergli se aveva pensato che quella sua idea così sensata, che bisogna rendere più difficili gli arrivi, passerà molto probabilmente attraverso la strage: un sacrificio necessario. È scritto. Là dove le cose si scrivono si conoscono già, se non i nomi – questa è gente senza nome – le facce, l’età, il modo di ridere e di piangere, il colore degli occhi, i ricordi e le speranze dei protagonisti del prossimo Grande Naufragio. Non in cielo: è qui, sulla terraferma che le cose si scrivono.

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