E' una vita che imparo cose da Settis. Anche da Staino

Adriano Sofri

Sergio Staino, che si alza presto la mattina (è l’inevitabile complemento delle biografie di chi va a letto presto la sera), mi rimprovera di aver scritto una p.p. incomprensibile: “Speriamo che almeno Settis l’abbia presa come una critica sarcastica”, dice. Ha ragione, devo essere stato davvero incomprensibile. Non solo non era una critica – sarcastica poi! – ma dava un benvenuto al nuovo libro di Salvatore Settis, “Architettura e democrazia” (Einaudi, 12 euro) che mi sembra, tanto più ora che l’ho letto, tempestivo rispetto alla topografia dei risultati elettorali contemporanei.

 

Leggo infatti con una voracità da malumore civile che provoca un cortocircuito fra le cose che lasciano un tempo calmo ai pensieri e alla commozione, come il Costituto del comune di Siena (all’inizio del 1300 tradotto in volgare “acciocché le povere persone et altre persone che non sanno grammatica possano esso vedere et copia indi trarre”, e che vuole che i governanti rendano la città “onorevolmente dotata et guernita, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri e per onore, prosperità e accrescimento de’ cittadini”) e le cose che fanno digrignare i denti, come “le periferie che divorano non solo la preziosa cesura città-campagna, ma la stessa idea di città”: che ho letto cinque minuti prima delle cronache su Amiens, dove Emmanuel Macron teneva una riunione coi dirigenti sindacali in una sala del centro mentre Marine Le Pen andava alla fabbrica della Whirlpool a farsi acclamare dagli operai superstiti. E’ una vita che imparo cose da Settis. Anche da Staino, benché io vada a letto sempre più tardi.

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