Ignazio Visco e Matteo Renzi

Come difendere Banca d'Italia sovvertendo l'intero ordine costituito

Rocco Todero

L’indipendenza di via Nazionale non è incompatibile con le legittime prerogative parlamentari

Ad ascoltare i commenti che molti illustri esponenti politici ed altrettanti autorevoli osservatori hanno esternato in occasione del casus belli scatenato dalla mozione parlamentare sulla figura del Governatore della Banca d’Italia c’è da rimanere quanto meno disorientati.

Secondo queste opinioni il Parlamento non avrebbe alcuna competenza nel procedimento di nomina del capo di Via Nazionale e pertanto la mozione presentata dal Partito Democratico avrebbe rappresentato un’invasione di campo inaccettabile in grado di mettere a repentaglio le attribuzioni del Governo della Repubblica e l’autonomia della Banca d’Italia. Il prestigio dell’Istituto avrebbe rischiato, inoltre, di essere compromesso definitivamente sul piano internazionale a causa del maldestro tentativo di sostituire un Governatore prossimo alla scadenza del mandato con non si sa bene chi.

Forse è il caso, però, di soffiare contro i fumi irrespirabili dell’acredine politica (che è arrivata ad accecare anche persone dotate normalmente di buon giudizio) per riportare un pò di nitida chiarezza dentro un contesto maldestramente annerito.

Si deve ribadire con forza, ad esempio che il Parlamento della Repubblica è il motore della nostra democrazia rappresentativa (che Dio l’abbia in gloria la democrazia indiretta) ed esercita la Sovranità conferitagli dal popolo e dalla Costituzione repubblicana. Esso può occuparsi di tutto, dentro i limiti previsti dalla Carta fondamentale, e può discutere (per il semplice fatto di essere composto dai rappresentanti della Nazione) di qualsiasi argomento che abbia un minimo di rilievo pubblico e politico.

Affermare che il Parlamento non possa interloquire, sotto qualsiasi forma, sul procedimento di nomina del Governatore della Banca d’Italia (nonostante non spetti alle camere sceglierne il nome) significa attentare seriamente alle prerogative del più importante organo costituzionale.

E’ necessario poi ricordare che il procedimento di nomina del Governatore della Banca d’Italia prevede che l’incarico sia attribuito con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri medesimo e sentito il Consiglio superiore della Banca stessa.

Si può affermare, pertanto, che la nomina del Governatore non sia un atto propriamente presidenziale e che l’intervento del Capo dello Stato valga tanto ad assicurare un controllo di mera legittimità formale quanto a garantire che la scelta ricada su una figura di alto profilo tecnico che abbia ricevuto, peraltro, il beneplacito del Consiglio superiore dell’Istituto medesimo.

E’ il Consiglio dei Ministri, invece, l’organo politico - amministrativo chiamato ad assumersi la responsabilità d’individuare (preferibilmente all’interno della tecnostruttura stessa dell’Istituto) la figura più adatta a ricoprire un così delicato ruolo.

Si può mai ritenere, allora, che la competenza del Governo in questa materia non ricada nell’alveo delle attribuzioni specificamente politiche ed amministrative?

Si può mai pensare che il Governo non debba essere chiamato a rispondere davanti al Parlamento della scelta compiuta e delle conseguenze che essa ha determinato?

E’ forse interrotto o sospeso il rapporto di fiducia che lega Governo e Parlamento allorché si tratti di nominare il capo della Banca d’Italia?

Esistono nomine governative di cui il Consiglio dei Ministri non sia tenuto a rispondere dinanzi al Parlamento?

Chi dovrebbe assumere la responsabilità politica della scelta del capo della Banca d’Italia (stante il chiaro disposto della legge) se non il Governo nei confronti del Parlamento che rappresenta l’intera Nazione?

Com’è possibile ritenere che il Parlamento non possa esercitare poteri di indirizzo e controllo, non già sull’operato quotidiano del Governatore (attività inammissibile), ma su un procedimento di nomina di così grande rilievo?

Per quale ragione una mera mozione dovrebbe attentare all’autonomia ed al prestigio della Banca d’Italia se il parere del consiglio superiore dell’Istituto resta obbligatorio (alla stessa stregua del controllo di legittimità del Presidente della Repubblica) e la deliberazione parlamentare non coinvolge gli indirizzi operativi dell’Istituto ma solo l’avvicendamento al vertice di chi è prossimo alla scadenza del mandato?

Non v’è dubbio che Banca d’Italia debba essere sottratta dalla sfera d’influenza della politica, ma perché mai difenderne l’autonomia sovvertendo l’intero ordine costituito? Non si potrebbe fare diversamente?