(foto LaPresse)

Perché il TAR del Lazio ha detto no al numero chiuso all'Università di Milano

Rocco Todero

Una motivazione succinta ma sufficientemente chiara c’è, ed è su questa che adesso bisogna ragionare

A differenza di quanto erroneamente riportato da Repubblica sul proprio sito web il TAR del Lazio ha negato la legittimità del numero chiuso all’Università di Milano per i corsi di laurea in Filosofia, Lettere, Scienze dei beni Culturali, Storia e per tutte le altre facoltà umanistiche, non limitandosi a ritenere “che il ricorso evidenzi sufficienti profili di fondatezza”, ma specificando che la restrizione degli accessi è disciplinata per legge a livello nazionale per un numero tassativo di ipotesi fra le quali (a giudizio del Tribunale) non rientrano quelle previste dall’ateneo meneghino.

 

I Giudici amministrativi hanno ricordato che la legge statale consente la limitazione dell’accesso alle Università esclusivamente per i corsi di laurea di medicina e chirurgia, odontoiatria, veterinaria, architettura, per le scuole di formazione specialistica delle professioni legali e in altre ipotesi specificamente previste dalle norme primarie.

 

Il TAR, inoltre, ha chiarito che esiste una seconda categoria di corsi di laurea a numero chiuso e cioè quelli per i quali l’ordinamento didattico prevede l’utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti - studio personalizzati, e quelli per i quali è previsto un tirocinio come parte integrante del percorso formativo. I corsi di laurea delle facoltà umaniste destinate al numero chiuso presso l’Università di Milano non rientrano a giudizio del TAR in nessuna delle elencate categorie.

 

Né, conclude il Tribunale, (e questo sembra essere il punto destinato a sollevare possibili obiezioni) si può ritenere legittima la motivazione con la quale l’Università di Milano ha giustificato il numero chiuso per i nuovi corsi, adducendo la carenza di un numero complessivo di docenti che rende l’Ateneo non in linea con i requisiti di accreditamento previsti dalla legge e che lo esporrebbe al rischio delle sanzioni dell’attivazione condizionata (per un solo anno) dei corsi di studio che non si trovino a rispettare i requisiti di docenza ed a quella dell’impossibilità di attivare nuovi corsi di studio se non a seguito della disattivazione di un pari numero di corsi.

 

Il diritto allo studio in Italia è già limitato e la disciplina del numero chiuso non rappresenta certo uno scandalo. Il TAR non ha sbandierato nessun diritto allo studio senza se e senza ma. La sua decisione solleva, tuttavia, il seguente interrogativo: può l’Università in ossequio ai principi d'autonomia della gestione e d'efficienza dell’erogazione del servizio che devono ricevere gli studenti decidere di limitare l’accesso a qualsiasi corso di laurea, o questa decisione può essere assunta a livello nazionale esclusivamente con legge dello Stato?

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