A Linate lo sciopero improvviso degli addetti ai bagagli (foto LaPresse)

La Costituzione più bella del mondo sta dalla parte degli utenti dei servizi pubblici essenziali e non dei lavoratori che scioperano con modalità illegittime

Sciopero nei servizi pubblici essenziali: promemoria oltre la retorica

Rocco Todero

La retorica oramai consumata della tutela del diritto allo sciopero fa dimenticare agli amanti della “Costituzione più bella del mondo” che le limitazioni all’esercizio del diritto d’interrompere l’erogazione dei servizi pubblici essenziali (contenute nella legge n. 146 del 1990) sono previste a tutela di alcune prerogative costituzionali fondamentali della persona che non sono suscettibili di essere pregiudicate oltremodo.

Il comma 1 dell’articolo 1 della legge nazionale, vecchia oramai di 27 anni, prevede infatti che “sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla liberta' ed alla sicurezza, alla liberta' di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla liberta' di comunicazione.”

Al fine di contemperare l’esercizio del diritto allo sciopero dei lavoratori utilizzati nell’erogazione dei servizi pubblici con la tutela dei diritti di rilevanza costituzionale degli utenti, sono state previste alcune limitazioni, fra le quali la necessità che le organizzazioni sindacali diano un congruo preavviso sulle date e le modalità di svolgimento dell’astensione dal lavoro e l’obbligatorietà della continuità di una soglia minima di servizi indispensabili anche durante l’astensione dal lavoro.
Non dovrebbero necessitare soverchie spiegazioni per comprendere che le limitazioni al diritto di sciopero in quest’ambito mirano anche a riequilibrare il rapporto di forza fra lavoratori ed imprese datrici di lavoro che è sbilanciato (a differenza di quanto ripete la retorica prevalente) a favore dei prestatori d’opera. Questi ultimi, infatti, astenendosi dal lavoro sarebbero in grado di paralizzare un’intera Nazione e di recare pregiudizio irreparabile a beni quali la salute, la sicurezza, la libertà e la vita, cosicché il datore di lavoro sarebbe sempre costretto a capitolare di fronte a qualsivoglia genere di rivendicazioni.

A differenza di quanto avviene nel settore privato, infatti, l’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali non determina esclusivamente l’interruzione della produzione di beni e servizi che il consumatore potrà comunque continuare a reperire sul mercato presso altri fornitori (di modo che le dinamiche del conflitto restino confinate all’interno del rapporto lavoratore/proprietà), ma sospende l’erogazione di prestazioni, fornite in regime di monopolio, che l’utente non potrà acquistare presso nessun’altra impresa (sicurezza, difesa, giustizia, trasporti, ecc..).

La connivenza culturale con le degenerazioni proprie di una certa rappresentazione della posizione “debole” del lavoratore ha impedito, tuttavia, di predisporre un adeguato contesto di regole a tutela degli utenti del servizi pubblici essenziali.

Si ponga mente, ad esempio, alla circostanza secondo la quale le violazioni della disciplina prevista dalla legge n. 146/90 (anche quelle più gravi) non possono essere mai sanzionate con il licenziamento del lavoratore, tanto è vero che l’illegittimità della condotta da parte dei dipendenti potrà ripetersi innumerevoli volte e con modalità particolarmente lesive (con conseguente violazione reiterata dei diritti costituzionali dei cittadini) senza che sia possibile andare oltre l’applicazione di blande e non meglio precisate sanzioni disciplinari.

Allo stesso modo, anche l’inottemperanza all’ordinanza per mezzo della quale il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato dovessero tentare di scongiurare “ il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati…” è punita con la sanzione amministrativa da 500 a 1000 euro per ogni giorno di violazione, ma giammai con il licenziamento del lavoratore recidivo e volutamente insubordinato anche all’ordine di tutelare beni fondamentali di utenti e concittadini.

Al netto della concreta verifica dell’esercizio dei poteri di vigilanza, repressione e controllo, da parte delle autorità competenti ogni qual volta, come parrebbe essere accaduto anche ieri, i lavoratori si fanno beffe dei diritti degli utenti, appare oramai chiaro come ci si trovi davanti ad un tentativo di bilanciamento fra posizioni giuridiche contrapposte che forse dovremmo rivedere.