L' Assemblea della Regione siciliana a Palazzo dei Normanni, Palermo, durante una conferenza stampa del governatore Rosario Crocetta (foto LaPresse)

Una Caporetto per il bene comunismo

La Corte costituzionale rade al suolo il manifesto benecomunista sull'acqua pubblica in Sicilia

Rocco Todero

Della legge che avrebbe dovuto disciplinare il servizio idrico integrato nell'Isola non è rimasto praticamente nulla

Nell’agosto del 2015 l’Assemblea Regionale Siciliana aveva approvato il disegno di legge sulla disciplina del servizio idrico integrato proposto dalla Giunta guidata dal Governatore Rosario Crocetta.

 

Sulle pagine di questo giornale (qui), all’indomani della pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, non si era mancato di sottolineare come il provvedimento legislativo rappresentasse, a dire il vero, un manifesto della rinverdita filosofia benecomunista avversa al mercato e all’iniziativa privata.

 

Erano stati messi in evidenza pomposità giuridicamente irrilevanti quali quelle che l’acqua è un bene pubblico estraneo a finalità lucrative, un patrimonio da tutelare per l’alto valore ambientale, culturale e sociale il cui utilizzo “ è un diritto umano individuale e collettivo, non assoggettabile a ragioni di mercato…”.

 

Il provvedimento legislativo si segnalava, inoltre, per l’avversione spudorata nei confronti dei meccanismi del libero mercato, cosicché privilegiava l’affidamento del servizio idrico integrato alle pubbliche amministrazioni (responsabili del degrado e delle inefficienze cui la legge avrebbe dovuto porre riparo) subordinandone l’affidamento al privato solo previa verifica della sussistenza di condizioni di migliore economicità rispetto all’attribuzione al settore pubblico e per un ridottissimo periodo (non superiore a nove anni) insufficiente al recupero degli investimenti richiesti per l’ammodernamento della rete idrica dell’Isola.

 

La nuova disciplina conteneva, ancora, condizioni capestro volte a scoraggiare l’ingresso di qualsiasi operatore privato, come quelle che disponevano che: “le condizioni economiche dell’affidamento non possano mutare per tutta la sua durata rimanendo a carico dell’affidatario anche gli oneri relativi ad eventuali varianti, per qualsiasi causa necessarie, ove funzioni all’espletamento del servizio”.

 

A completare l’opera propagandistica la previsione dell’articolo 10 del testo della legge secondo la quale 50 litri di acqua potabile al giorno erano considerati diritto umano e quantitativo minimo vitale garantito che doveva essere assicurato a tutti, anche a coloro che pur morosi si fossero trovati in condizioni economiche disagiate.

 

A distanza di meno di due anni dall’approvazione del testo di legge, l’altro ieri la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sull’impugnativa del Governo nazionale, ha letteralmente raso al suolo l’intero provvedimento sul servizio idrico integrato voluto dal Governatore Crocetta e dalla maggioranza parlamentare che allora soffiava dietro le vele della propaganda “benecomunista”.

 

La lettura della sentenza della Consulta suscita persino imbarazzo, perché l’opera di demolizione giuridica è pressoché totale e senza appello o attenuante alcuna, e sin anche scolastiche appaiono alcune reprimende che il Giudice delle Leggi rivolge all’indirizzo dell’Assemblea siciliana.

La Corte Costituzionale, nell’ordine, ricorda al “Parlamento” siciliano che:
1)la disciplina del servizio idrico integrato rientra nelle materie trasversali della “concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”. La Regione, pertanto, deve attenersi alle indicazioni di principio contenute nella legge nazionale denominata “Codice dell’ambiente” perché la disciplina della concorrenza e la tutela dell'ecosistema non possono subire deroga alcuna;
2) non è consentito alla Regione ridurre l’assetto competitivo del mercato di riferimento del servizio idrico integrato disciplinando in maniera deteriore l’ipotesi di affidamento della gestione al soggetto privato accollando a quest’ultimo oneri maggiori rispetto a quelli previsti in capo al gestore pubblico;
3) non è possibile privilegiare l’affidamento del servizio idrico integrato al soggetto pubblico riservandolo al mercato solo per l’ipotesi di accertata sussistenza di condizioni di migliore economicità;
4) è possibile affidare in via diretta il servizio ad un soggetto pubblico solo quando quest’ultimo sia interamente controllato dalle pubbliche amministrazioni che lo istituiscono ed esso operi esclusivamente a favore dei soci, in ossequio agli insegnamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea;
5) la disciplina della convenzione di gestione del servizio idrico integrato deve essere uniforme, cosicché gestore pubblico e privato devono trovarsi dinnanzi ai medesimi obblighi e possano vantare gli stessi diritti;
6) la disciplina del servizio idrico integrato deve reggersi sul principio fondamentale dell’equilibrio economico finanziario, cosicché la tariffa pagata dall’utente deve coprire tutti i costi necessari all’erogazione del servizio medesimo. E’ esclusa qualsiasi responsabilità del gestore privato per l’ipotesi di variazioni economiche che possano intervenire nel periodo di affidamento per qualsiasi causa, anche non imputabile al gestore medesimo;
7) la tariffa del servizio idrico integrato deve essere definita dall’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua sulla base dei costi ritenuti ammissibili per la gestione del servizio medesimo e non già dalla Giunta regionale (come prevedeva la legge) sulla base di valutazioni discrezionali;
8) non è consentito prevedere che singoli comuni o gruppi di comuni si sottraggano alla partecipazione all’Ambito Territoriale Ottimale perché l’unicità della gestione assicura efficienza ed economicità, a differenza di quanto avviene per il tramite di una gestione cosiddetta “frammentata” all’interno della quale ogni singolo comune operi isolatamente con enorme aggravio di costi e senza la possibilità di assicurare un servizio efficiente;
9) il fondo di solidarietà a favore degli utenti del servizio che dovessero trovarsi in condizioni di disagio economico deve essere alimentato con i proventi della tariffa posta a carico della generalità dei fruitori della gestione stessa e non già (come previsto dalla legge regionale) con i proventi dichiarati dal gestore privato.

 

Una Caporetto su tutta la linea, insomma.

 

Una debacle che non si arresta al piano del tecnicismo giuridico e della ripartizioni di competenza fra Stato e Regioni, ma che vuole rappresentare tutta l’inconsistenza del “benecomunismo” sull’acqua pubblica.

 

Nel frattempo nell’Isola, in assenza di una disciplina organica sul servizio idrico integrato, regna il caos e le uniche certezze sono l’enorme dispersione di acqua potabile e l’incredibile livello di sperpero di denaro pubblico.