Crisi democratica? Il prof. Ainis propone il populismo costituzionale

Rocco Todero

Un programma che sa tanto di deragliamento a cinque stelle

Venerdì 28 aprile su Repubblica il prof. Michele Ainis, costituzionalista di chiara fama già firma di punta del Corriere della Sera, ha rappresentato la necessità di porre un robusto argine al presunto declino della democrazia rappresentativa, generato dalla crisi dei partiti politici, per mezzo di modifiche della Costituzione Repubblicana ispirate da una radicale fantasia istituzionale.

 

Cinque i punti qualificanti del programma proposto dall’editorialista del quotidiano diretto da Mario Calabresi: 1) l’estensione del referendum abrogativo oltre i limiti previsti dall’articolo 75 della Costituzione e l’introduzione del referendum propositivo per consentire forme di democrazia digitale in occasione, per esempio, della realizzazione di importanti opere pubbliche; 2) un numero di parlamentari a geometria variabile che tenga conto della percentuale degli elettori astenuti nella competizione elettorale nazionale, perché “Un Parlamento non votato è un Parlamento non legittimato” che non dovrebbe (per dirne una a caso) potere procedere alla revisione costituzionale; 3) l’introduzione del limite di due soli mandati per i parlamentari oltre che per i membri del Governo per evitare che il ceto politico perda l’attitudine di trovarsi un’occupazione vera nel mercato del lavoro; 4) la modifica dell’articolo 67 Costituzione che elimini il divieto del vincolo di mandato ed introduca il recall come in Svizzera o negli Stati Uniti, perché i cambi di casacca di deputati e senatori sarebbero il sintomo più evidente dell’irresponsabilità della nostra classe dirigente; 5) una pattuglia di parlamentari estratta a sorte senza timore che vengano nominati soggetti privi di alcuna capacità perché di incapaci comunque sarebbero piene le aule legislative.
Il tono volutamente sprezzante riecheggia il registro della litania populista ed anti sistema, mentre i contenuti delle proposte di revisione costituzionale colpiscono per la stramba eterodossia dottrinale oltre che per un’impressionante rassomiglianza (consapevole di certo, spontanea non si può dire in che misura) con il programma del partito di Beppe Grillo.
Un deragliamento costituzionale a cinque stelle insomma.

 

Al prof. Ainis, tuttavia, si dovrebbe ricordare che: 1) I limiti posti dall’articolo 75 della Costituzione Repubblicana al referendum abrogativo hanno rappresentato sinora il freno più efficace alle derive populiste che avrebbero potuto aggredire le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e quelle di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionale. L’alternativa secca fra il “si” ed il “no” al cospetto di materie particolarmente complicate e caratterizzate da un elevato tasso tecnico offre il destro a decisioni assunte senza alcuna consapevolezza e sull’onda dell’emotività sobillata da leader e gruppi di pressione per nulla interessati alla tutela del bene collettivo. Il quorum strutturale funge da resistenza all’abrogazione di norme di legge adottate dal Parlamento in rappresentanza della maggioranza del corpo elettorale; 2) Pensare di delimitare il numero dei Parlamentari alla percentuale degli elettori che partecipa alle elezioni nazionali equivale da un lato a paralizzare la funzionalità che dovrebbe assicurare la legge elettorale e che dovrebbe investire la stessa attività del Parlamento, dall’altro, a riconoscere un inammissibile potere di interdizione ai cittadini che senza alcuna costrizione decidono di non recarsi alle urne. Di difficile comprensione risulta, poi, l’affermazione secondo la quale “Un Parlamento non votato è un Parlamento non legittimato”; 3) L’idea che il divieto di svolgere per più di due volte il mandato parlamentare possa contribuire ad una migliore selezione del corpo politico è senza fondamento perché trascura la radicale differenza che sussiste fra la figura del Presidente degli Stati Uniti, per esempio, ed un semplice parlamentare o un membro dello stesso Congresso statunitense. Pensare di fare a meno di un ceto professionale di decisori politici equivale a sconfessare il principio della specializzazione e della divisione del lavoro; 4) Il divieto del mandato imperativo è stato storicamente adottato dalle Costituzione dei Paesi socialisti di stampo autoritario, capaci di reprimere il pluralismo e le libertà fondamentali. L’esempio degli Stati Uniti utilizzato dal Prof. Ainis è fuorviante ed improprio. Oltreoceano il recall è in vigore in un numero limitatissimo di Stati ed è circondato dalle cautele tipiche di un procedimento che si svolge in contraddittorio, solo per dirne una, con il Parlamentare accusato di avere tradito il mandato elettorale.

 

Il cambio di casacca non è automaticamente sintomo di irresponsabilità perché potrebbe essere dovuto al cambio di direzione del Partito politico o del gruppo parlamentare. A ciò si aggiunga che, come correttamente desumibile dal Digesto delle Discipline pubblicistiche alla voce “Responsabilità politica”: “Invero un’ampia letteratura ha dimostrato come difficilmente il programma sottoposto agli elettori possa contenere un catalogo dettagliato delle misure particolare che il governo prederà. Anche perché, in un mondo in cui gli stati sono diventati sempre più interdipendenti sopratutto in materia economica, il governo deve operare in un contesto che è definito da decisioni prese da un numero sempre più vasto di attori e perciò sempre più mutevole ed imprevedibile…..Muovendo da questo genere di considerazione, si è potuto concludere che la scelta elettorale dei governanti avviene sulla base di quella che si considera la loro attitudine a prendere decisioni appropriate, piuttosto che sulla base di decisioni determinate”.

 

La responsabilità politica, poi, si materializza ipso facto tutte le volte che in occasione delle elezioni nazionali gli elettori hanno la possibilità di premiare o punire la classe politica uscente, ragione per la quale non è in alcun modo necessario abbreviare o ridurre ad libitum il tempo del “giudizio” elettorale; 5) Incredibilmente contraddittoria è poi la proposta di sorteggiare un certo numero di parlamentari. Questa pattuglia non sarebbe legata per definizione a nessun mandato elettorale e manderebbe a gambe all’aria tutta la costruzione teorica sulla quale si reggerebbe il recall. Delle due, allora, l’una: o il recall serve a far prevalere la volontà del corpo elettorale ed il contenuto del mandato affidato al rappresentante o il sorteggio serve a rendere del tutto libero (irresponsabile) il nominato nei confronti di chicchessia.

 

Difficile ipotizzare che il prof. Ainis non si sia avveduto delle gravissime aporie che affliggono le sue proposte. Molto più probabile pensare che si tratti dell’ennesima inaccettabile acritica “contaminazione” del populismo a cinque stelle. Peccato.

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