Il mio Godard

di Michel Hazanavicius, con Louis Garrel, Stacy Martin, Berenice Bejo, Micha Lescot

Mariarosa Mancuso

Non solo Goffredo Fofi, che spara su “Dunkirk”. Altri giapponesi vagano nella giungla combattendo una guerra finita da un pezzo. A differenza di Goffredo Fofi (classe 1937), questi non hanno neppure l’attenuante anagrafica. Su Sentieri Selvaggi leggiamo: “Prima o poi doveva accadere che la borghesia si vendicasse di Jean-Luc Godard. Ci ha pensato Michel Hazanavicius”. E via con gli insulti all’indirizzo del regista, già colpevole con “The Artist” di aver sfruttato il cinema muto per appagare “il pubblico dei salotti e quello hollywoodiano”. Toni e ideologia da anni Settanta, quando i critici che scrivono su Sentieri Selvaggi (e purtroppo insegnano alla scuola di cinema con lo stesso nome) neanche erano nati. Da tempo raccogliamo prove per dimostrare che i giovani critici son più vecchi dei vecchi: questa è preziosa. Messa da parte la lesa maestà – per un maestro che da troppi anni ci annoia con i suoi deliri, qualcuno girato a bordo della Costa Concordia, qualche altro in un 3D buono soltanto a procurare l’emicrania – “Il mio Godard” è molto meglio del santino che sembrava quando fu annunciato. La sovrapposizione tra l’antipatico regista e l’antipatico attore Louis Garrel che ne rifà le manie e i proclami, con gli occhiali sempre rotti e l’accento svizzero (bello sarebbe se girasse ogni tanto una versione con i sottotitoli) funziona benissimo. La spedizione al festival di Cannes 1968 è un monumento all’autolesionismo in nome della rivoluzione. “Le Redoutable” era il titolo originale, dalla frase che scandiva un reportage sul sottomarino nucleare francese costruito nel 1967: “Così va la vita, a bordo del Redoutable”. In casa di Godard e della giovanissima moglie Anne Wiazemsky era ripetuta per comporre gli screzi, che poi diventarono litigi. Lei partì per andare a girare un film con Marco Ferreri, “Il seme dell’uomo” (perfetto il ristorante con formica verdolina anni 60, meglio del bar disegnato da Wes Anderson per la Fondazione Prada a Milano). Nel copione c’erano tante scene di nudo. “Artistiche e necessarie”, disse lei per rassicurare il gelosissimo Godard, che sapeva bene come vanno queste faccende. Aveva conosciuto Anne Wiazemsky sul set di “La cinese”.

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