NERUDA

Mariarosa Mancuso

Mistero tuttora irrisolto. Quali saranno le qualità di questo film che a noi sfuggono? Al Festival di Cannes ne dicevano meraviglie, costringendoci a un faticoso inseguimento: 45 minuti di coda, tra aspiranti spettatori che si scambiavano informazioni rassicuranti: “Ieri ero molto più in fondo alla fila, girato l’angolo, però ce l’ho fatta”. Mentre i primi non eletti imploravano la carità di un posto in piedi, sullo schermo c’era Pablo Neruda in dolcevita scuro: un rivoluzionario stalinista – sia pure tendenza “champagne communist”, come scrivono le recensioni americane – tiene le camicie nell’armadio. Cile, anno 1948: Gabriel González Videla mette fuorilegge il Partito comunista. Il poeta si oppone con un discorso in Senato e diventa il ricercato cileno numero 1.

 

Si nasconde – direbbe Hollande tra “gli sdentati” – e medita la fuga, al seguito di un’aristocratica moglie argentina (i conoscenti e i colleghi un po’ lo invidiano e un po’ sparlano di lui). Prima scena, seconda scena, terza scena: nulla sembra succedere se non l’arrivo di un ridicolo detective – con una passione per i gialli, un tocco di postmoderno non guasta mai – battezzato Oscar Peluchonneau (speriamo che le assonanze con i peluche e con l’ispettore Clouseau siano volute). Pasolinianamente, l’ispettore di polizia proletario insegue il comunista più che benestante. Avevamo sentito parlare di un film che metteva in ridicolo Pablo Neruda, a colpi di battute feroci. Niente di niente. Finché nel bianco perfetto della neve, con inquadratura western, Peluchonneau tira le cuoia (sequenza interminabile, una morte così lenta va bene all’opera, in un film fa ridere).

 

Sotto ogni scena lampeggia la didascalia magrittiana: “Questa non è una biografia”. Cosa sia in positivo, non è chiaro. Propendiamo per l’esercizio di stile di un regista viziato dalla critica. Vale anche per “Jackie”, il film di Larrain in concorso alla Mostra di Venezia (nelle sale il 2 febbraio). Ovvero: l’invenzione della tradizione, dopo la morte di JFK. A opera della consorte che con un colpo di genio in un’intervista parlò di “Camelot”. Per fortuna la vedova Kennedy è più interessante di Neruda, e la poco somigliante Natalie Portman si fa carico del film.

 


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