Miley Cyrus. Foto LaPresse/Reuters

Basta sesso e tette in mostra. La musica pop scopre il femminismo buono

Simonetta Sciandivasci

Le promesse di Miley Cyrus e un saggio di Michele Monina

Roma. “Meno sesso, più politica e tanto amore”. Non è la seconda serata del palinsesto autunnale di La7, ma “la nuova, sorprendente Miley Cyrus”, che questa settimana compare, composta e angelica, sulla copertina di Vanity Fair. Ha capitolato anche lei, dopo un quadriennio di canzoni bellissime cantate tra canne, amori liberi, linguacce, culo dritto, body in latex, Swarowski sui capezzoli, cinture falliche, amplessi con catene e martelli, inaugurato twerkando e duettando con il sessista dell’anno, Robin Thicke (quello di Blurred Lines), in mondovisione, sul palco degli MTV Video Music Awards del 2013, mentre le colleghe Sinead O’ Connor e Annie Lennox inorridivano implorandola di “smetterla di essere così antifemminista” e le giovani fan rispondevano al posto suo “come siete bigotte, non capite che Miley è libera di scegliere?”. E invece. “Non mi spoglio più”, ha detto a maggio scorso. Prima di lei, lo aveva fatto Katy Perry, aggiungendo di volersi concentrare solo sulla musica. Poi c’era stata Taylor Swift, primo piano acqua e sapone sulla copertina del Times, come un capo di Stato e Adele, sul Rolling Stones, senza trucco, appena uscita dalla doccia, anche un po’ incazzata, a voler significare, tutte e due, che un’artista non è un banco carne, è indisponibile alla mercificazione di sé, vuole essere ascoltata e basta. C’è una copertina asessuale anche nella carriera di Rihanna, la sola, delle pop star post Madonna, a non essersi mai censurata il corpo. Poco meno di un anno fa, ritirando il Billboard Woman in Music Award, Madonna ha ricordato la pioggia di insulti (Satana!), squalifiche, accuse (“Riduce le donne a un oggetto sessuale!”) che si procurò con Erotica, nel 1992, che la portarono a concludere: “se sei una femminista, non hai una sessualità, o devi negarla. Ok, fanculo, ciò significa che sono un tipo diverso di femminista, si vede che sono una femminista cattiva”. Un quarto di secolo dopo siamo più o meno allo stesso punto: la nudità femminile non è libertà, ma soggezione; il corpo non può veicolare, ma soltanto sbandare; Miley Cyrus è antifemminista fintanto che lecca martelli in shorts ma diventa un’artista seria e vera quando finalmente indossa un vestitino rosa antico e leva il culo dalla telecamera.

    

Nel suo “Venere senza pelliccia – quando il pop italiano s’è infilato le mutande” (Skira, 2017) il critico musicale Michele Monina ricostruisce assai bene quello che è successo in Italia e nel resto del mondo alla musica pop femminile negli ultimi vent’anni: dalla iper-sessualizzazione alla de-sessualizzazione; da “ti darò tutto il mio amore” (Madonna, Like a Virgin) a “mi sentirai ruggire” (Katy Perry, Roar); da Anna Oxa che a Sanremo cantava “Senza pietà” in tanga e Loredana Bertè che cantava “acqua porta via la guerra” in bikini, a Irene Fornaciari intabarrata sul palco dell’Ariston; dall’America di Gianna Nannini (fammi l’amore forte e sempre più forte) e il caffè nero bollente di Fiorella Mannoia (da sola nel letto mi abbraccio, mi cucco) a “Tu non lo sai come vorrei ridurre tutto ad un giorno di sole” di Malika Ayane. Il corpo, il piacere di averne uno e mostrarlo, il piacere di offrire il proprio e accoglierne un altro, l’amore, il possesso, la violenza, la carne: è tutto sparito, bollino rosso, niente più, ora siamo serie, ora parliamo del mondo, ora cambiamo le cose, mica una donna s’innamora e basta, mica piange e basta, mica compiace e basta. Il rock, che (anche) per liberare il sesso era nato, dal bacino di Elvis a Lydia Lunch che in Fingered cambiò le regole del porno e mostrò una donna che conduceva le danze e godeva e sceglieva e graffiava, è finito prima che la rivoluzione sessuale si compisse davvero: il moralismo ha vinto sul sessuale e il pop ha ereditato un testimone arroventato, quasi impossibile da afferrare. La censura del corpo e del sesso non solo non è stata disinnescata, ma è stata assorbita in modo così profondo da agire dentro le artiste, in forma di mozione: se non scrivi di sesso e non ti mostri, sarai più credibile. Il femminismo buono.

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