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Non servono sconti per avvicinare i giovani alla musica, ma insegnare musica

Mario Leone

Nei nostri atenei si fa musica? Come? Quali esperienze sono significative? Il caso Harvard, le lacune dell'Italia e un esperimento che funziona

Roma. Sta suscitando non poche polemiche il cambio di rotta dell’Università di Harvard nell’organizzazione delle facoltà musicali. L’eliminazione di alcuni requisiti particolari per l’accesso al corso triennale e importanti novità a livello contenutistico con l’apertura verso culture musicali non occidentali hanno sorpreso anche il compositore John Adams, ex allievo di grande prestigio.

 

Il caso Harvard riapre la domanda su cosa accade, a livello musicale, nelle università italiane. Nei nostri atenei si fa musica? Come? Quali esperienze sono significative?

 

Anzitutto uno scoglio culturale. In generale nel mondo scolastico italiano si riserva alle arti uno spazio inferiore rispetto ad altri luoghi del mondo (vedi Harvard appunto). Nelle nostre università si può studiare Storia del teatro, ma non teatro; Storia della musica, ma non pianoforte. E’ previsto lo studio delle arti ma non la pratica, al contrario di altre famose realtà mondiali. A Harvard si affiancano Cambridge, Oxford ma anche la Sorbona, dove ci si può laureare in strumento. Questo non significa che nel nostro paese l’insegnamento pratico della musica sia inesistente ma è affidato ad altre istituzioni, quelle dette Afam (Alta Formazione Artistica e Musicale), che sono distaccate dal mondo accademico.

 

Qualcosa però sta accadendo anche dalle nostre parti. A Pavia, il Collegio Ghislieri, legalmente riconosciuto dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca come “ente di alta qualificazione culturale”, aderisce dal 1997 alla Conferenza dei Collegi Universitari di Merito. Proprio in questi giorni l’Università di Pavia e Ghislieri Musica (il dipartimento musicale del Collegio) stanno stipulando una partnership riconoscendo a Ghislieri Musica un ruolo istituzionale. Ne abbiamo parlato con Giulio Prandi direttore artistico e musicale del Ghislieri. “La nostra peculiarità è la diffusione della pratica attiva della musica. Non si tratta solo di organizzare una stagione concertistica e offrire prezzi abbordabili per gli studenti universitari. Diffondiamo la musica attraverso la pratica. Da questa idea nascono diverse attività. Un coro universitario che svolge attività in maniera seria e altamente professionale cimentandosi in diverse attività concertistiche”. Il Ghislieri in collaborazione con l’Università di Pavia punta a formare persone che una volta inserite in ambiti professionali lontani dalla musica possano avere una profonda esperienza musicale e organizzativa. “Si entra in contatto con logiche di spettacoli dal vivo con le sue esigenze peculiari e le sue dinamiche. Ci sono vere e proprie produzioni professionali”. Il Ghislieri Musica fa anche tanta attività di ricerca soprattutto nell’ambito della musica sacra del XVIII secolo grazie a un coro e orchestra professionali “in residenza” che si esibiscono nelle più importanti sale d’Europa. Chiarisce meglio Giulio Prandi: “La nostra ricerca ha come finalità l’esecuzione di quella musica sulla quale facciamo ricerca. Cosa questa pressoché unica nel panorama universitario. La musica che porti alla luce la metti in circolo eseguendola”. La risposta degli studenti è sorprendente: quello del Ghislieri è il pubblico più giovane della rete europea di musica antica, 25 per cento under trenta. Il coro Universitario con sessanta iscritti e ogni semestre centinaia di studenti che tentano l’audizione. “Senza dimenticare la diffusione – riprende Prandi – capillare. Solitamente i giovani e il pubblico in sala sono trattati come persone da far sedere. Per questo ci si lancia in offerte economiche. Ma se non ti interessa la musica non ti rechi a un concerto anche se fosse gratuito. Per questo uno dei nostri compiti è ricostruire un pubblico interessato alla musica”.

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