Un'immagine del Flauto Magico dal profilo Twitter dell'Opera di Firenze

Macché amore, il Flauto magico parla di potere

Antonio Gurrado

La parola di cui sarebbe dovuta restarci l’eco non è “pa!” ma è “macht”. È forse la più frequente nel testo di Emanuel Schikaneder e di sicuro quella che appare nei momenti chiave

Macché amore, il Flauto magico parla di potere; se nelle orecchie ci restano soprattutto i monosillabi di Papageno è merito della musica di Mozart – forse mai così bella come qui, di una superiorità lampante anche per un dilettante sordo – a tutto detrimento di un libretto che appare impervio e mediocre anche a chi non sa il tedesco. La parola di cui sarebbe dovuta restarci l’eco non è “pa!” ma è “macht”. E’ forse la più frequente nel testo di Emanuel Schikaneder e di sicuro quella che appare nei momenti chiave: significa sia “forza” sia “potere” e viene inoculata già nella prima scena, quando Tamino è inseguito da un serpente ma le tre damigelle della Regina della notte stecchiscono il rettile, “per nostro potere”. Quando Tamino si risveglia si chiede se non sia stato salvato da “un potere superiore” ma si persuade che il rettilicida sia stato Papageno, il quale compie così un’usurpazione: ciò comporta all’uccellatore un lucchetto sulle labbra e allo spettatore un’anticipazione della trama in nuce.

 

C’è un potere che qualcuno ha il diritto di esercitare ma che qualcun altro usurpa. I due atti serviranno a capire chi, con un effetto sorpresa piuttosto prevedibile. Più interessante è rileggere l’opera alla luce della questione della legittimità del potere. Da dove deriva? Quando Tamino si dichiara, subitissimo, erede di sangue regale, Papageno questiona l’origine di tale carica principesca; solo all’inizio del secondo atto virtù, discernimento e carità vengono certificate come caratteristiche di Tamino e, come tali, criteri che legittimano il potere di un sovrano più del lignaggio. Le prove a cui il sovrano Sarastro sottopone il giovane collega vogliono acclarare queste caratteristiche; e Sarastro stesso, alla fine del primo atto, viene acclamato dai sudditi come potente in quanto saggio. Ciò gli consente di parlare a nome di tutta l’umanità, come lui stesso dichiara immodesto all’inizio del secondo atto, spiegando che il dovere del sovrano è quello di ogni uomo: riconoscere il potere degli dèi e mostrarlo alle genti. Ciò soprattutto gli consente di rinfacciare alla Regina della notte di credersi molto potente senza esserlo, poiché opera attraverso l’inganno e la superstizione con cui irretisce il popolo. Dal canto suo la Regina – rivelando che il proprio potere è svanito da che è rimasta vedova – affida alla figlia Pamina il compito di uccidere Sarastro: è l’appello al cielo, ovvero il tentativo di giustificare l’uccisione del sovrano sulla base della sua illegittimità di fronte a Dio.

 

Il potere infatti è passato a Sarastro assieme a un cerchio solare che il marito gli aveva volontariamente ceduto, ma la Regina lo avoca a sé contestando la legittimità del passaggio in quanto balza la linea ereditaria prestabilita. Sono due modelli politici contrapposti e inconciliabili: il sovrano dev’essere quello meritevole o quello designato? Il potere è del virtuoso o dell’erede? Del resto, il Flauto magico è un’opera in cui si sviene parecchio. Ogni tanto qualche personaggio casca esanime ed è significativo che, nel libretto originale, il termine per “svenuto” sia “ohnmacht”: “senza forze”, quindi anche “senza potere”. Nei due atti il potere (pensate a quello del guardiano moro Monostatos, che ne abusa per piazzare le manacce su Pamina prigioniera) viene mostrato come il motore che anima la vita umana – e non potrebbe essere altrimenti visto che nelle intenzioni del librettista il potere coincide con la virtù, specificità umana per eccellenza. Al contrario, lo strumento eponimo che le damigelle consegnano a Tamino ha il potere di renderlo “allmächtig”, “onnipotente”, poiché cambia lo stato d’animo di chi lo ascolta. E’ dunque il potere che determina l’amore e lo soggioga, esattamente come è Sarastro a riservare a Papageno una fanciulla proprio uguale a lui dopo avere arbitrariamente stabilito che la donna vive in modo appropriato solo se sottoposta al potere dell’uomo (mah): in questo contesto, il duetto d’amore fra le anime gemelle sembra proprio un battibecco. 

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