Pietro Beccari all'inaugurazione della fine dei lavori della Fontana di Trevi (foto LaPresse)

Beccari passa a Dior: così la più nota maison francese è stata conquistata dall'Italia

Fabiana Giacomotti

L'ex ceo che ha fatto risorgere Fendi tornerà a Parigi dopo i suoi trascorsi a Louis Vuitton. Un avvicendamento di grande portata e dai molti significati per l'intero mondo della moda  

Lode alla tenuta di nervi dell’ufficio stampa di Fendi. Mercoledì 8 novembre verso le 15, cioè circa due ore dopo che l’intero sistema della moda aveva già annunciato con tutti i mezzi possibili la prossima nomina del ceo Pietro Beccari all’equivalente ma ben più ambita poltrona in Dior, una mossa che rende la maison più simbolica della moda francese di fatto italiana considerando anche la direzione creativa di Maria Grazia Chiuri, ha diffuso un comunicato in cui annunciava la visita guidata dell'Istituto superiore per la Conservazione ed il Restauro avvenuta la mattina stessa “in occasione dell'inaugurazione dell'area scientifica didattica creata in collaborazione con Fendi”. La notizia della nomina di Beccari, in effetti, non è ancora stata ufficializzata dal gruppo LVMH e da Bernard Arnault, l’uomo più ricco di Francia, e nella moda che tanto sembra spiritosa, allegra e facilona, il primo respiro soffiato nella direzione sbagliata equivale alla perdita dello stesso in via definitiva, per cui è appunto merito di quel manipolo di professionisti della comunicazione aziendale di cui è probabile che Beccari continuerà ad avvalersi nella nuova posizione, come peraltro aveva già fatto in occasione del passaggio da Louis Vuitton a Fendi, all’inizio di questo decennio.

  

  

Il passaggio avviene nell’ambito di una riorganizzazione interna di grande portata e dai molti significati: lo storico numero uno di Dior, Sidney Toledano, l’uomo che negli anni Novanta guidò la ripresa della maison con John Galliano “j’adore Dior” e che nel 2011 ne firmò anche il licenziamento per le aggressioni verbali antisemite (una mossa che dovette colpirlo molto essendo lui stesso un esponente di spicco della comunità), andrà infatti a occupare la carica di presidente e ceo del gruppo finora detenuta da Pierre Yves Roussel, supervisionando brand come Céline, Givenchy, Kenzo, Loewe, Marc Jacobs ed Emilio Pucci. Roussel resterà come consulente speciale di Arnault. Dal prossimo febbraio, presumibilmente fra la sfilata della haute couture di fine gennaio e quella del pret-à-porter dell’autunno 2018, Beccari tornerà dunque a Parigi, che aveva lasciato cinque anni fa dopo essere stato per cinque anni vicepresidente di Louis Vuitton accanto allo scomparso Yves Carcelle, con delega al marketing, e aver guidato il rilancio di Berluti, marchio della calzatura di alta gamma maschile su cui si esercita adesso il figlio di Arnault, Antoine.

 

In questi cinque anni da Fendi, il cinquantenne Beccari ha fatto l’inosabile con una velocità da attaccante, dimostrando che le lezioni apprese sui campi da calcio della sua Parma, dove aveva iniziato una non promettentissima ma entusiastica carriera di terzino, sono state sapientemente riversate sul campo altrettanto difficile e veloce del lusso. Nel tempo limite del lustro che in tutta evidenza Arnault lascia ai propri manager per saggiarne i risultati, Beccari ha ridato vita al palazzo Fendi di largo Goldoni, ora anche albergo di charme, arricchendolo con un’opera di Giuseppe Penone che ha dato un’impronta contemporanea a uno slargo fino a quel momento privo di una focalizzazione artistica forte. Ha avviato una serie di restauri delle fontane storiche, prima fra tutte la celeberrima Fontana di Trevi che, accidenti a Fellini, tutte le turiste ritengono lecito tentare di attraversare in abito da sirena nero. Ha siglato un accordo con la Galleria Borghese per la valorizzazione dell’opera di Caravaggio che ha reso la sua domina ex machina Anna Coliva la donna più invidiata dell’arte italiana. Ma soprattutto, e qui la facciamo breve, Beccari ha messo Karl Lagerfeld al posto che gli compete e che è quello di venerata icona, senza lasciarlo nemmeno pasticciare con le foto e i cartigli come fa altrove e cioè da Chanel.

 

Da quando le collezioni Fendi sono ufficiosamente ma molto concretamente disegnate da Marco De Vincenzo il brand è tornato a essere desiderabile. Dice la vulgata della moda che, al muso duro di Beccari, Lagerfeld sparì per mesi dagli uffici di Fendi, da qualche anno trasferiti al Colosseo Quadrato all’Eur, salvo tornare sui propri passi quando gli parve evidente che il manager non avrebbe ceduto e che forse il suo contratto, pur a vita, rischiava di prestare il fianco a eventuali contese legali. Ora Beccari andrà a esercitare il proprio dribbling in Avenue Montaigne che, nonostante i risultati più che positivi (l’andamento del terzo trimestre ha contribuito a far salire il fatturato LVMH dei primi nove mesi oltre quota 30 miliardi di euro, e i ricavi hanno visto un incremento “reported” del 14 per cento anche grazie a un impatto strutturale positivo del 7 per cento come riflesso dell’integrazione di Dior), sconta un leggero calo d’affezione da parte dei modaioli più accorti e accaniti. Il lavoro di Maria Grazia Chiuri piace infatti molto al mercato; un po’ meno agli esperti.

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