È morta Laura Biagiotti, stilista coraggiosa e diplomatica

Fabiana Giacomotti

Pensando alla stilista viene in mente un morbidissimo poncho in cashmere in tinta panna o rosso. Trasformò un piccolo atelier in un colosso mondiale: fu la prima a sfilare in Cina e in Russia al Cremlino

All’ultima sfilata milanese, lo scorso febbraio, Laura Biagiotti, scomparsa questa notte a Roma dopo che un attacco cardiaco devastante e senza remissioni l'aveva colpita mercoledì sera, era apparsa molto affaticata. Qualche collega si era trovato a domandarsi, per la prima volta, quanti anni avesse, attribuendogliene molti di più di quanti una ricerca su Google permettesse facilmente di stabilire. Settantatre anni sono relativamente pochi, in un mondo che è ancora dominato da Giorgio Armani e da Karl Lagerfeld, entrambi ottantenni, e dove può capitare di incontrare per strada Roberto Capucci, classe 1930, che ti annuncia i suoi progetti.

  

 

La sfilata di Laura Biagiotti si era tenuta, come da molti anni a questa parte, al Piccolo Teatro Strehler di Milano, secondo un copione che si ripeteva una stagione dopo l’altra e che tanti invitati trovavano confortante, evocativo com’era di una stagione della moda ormai travolta dalle multinazionali e dagli “eventi”. Le modelle, mediamente sorridenti, avanzavano fra due ali di ospiti cosiddetti vip: vecchie glorie della televisione, amici personali della stilista, esponenti di un cinema forse mai esistito come Romina Power. Non mancava mai il primo grande pr dell’azienda, Beppe Modenese, venerabile presidente onorario di Camera Moda. Aveva assunto l'incarico negli Anni Settanta su richiesta del marito della stilista, Gianni Cigna, imprenditore abilissimo e gran signore dai tratti mediorientali trasmessi alla figlia, la bella Lavinia diventata vicepresidente dell’azienda una decina di anni fa. Modi garbati e antichi. Insieme, Modenese e Cigna avevano sviluppato il piccolo e sofisticato atelier romano della mamma di Laura, Delia Soldaini Biagiotti, façonista per Schuberth, Capucci e Rocco Barocco, sino a trasformarlo in un marchio internazionale. Un'evoluzione che si poteva intuire dalle premesse, da quel contratto per la realizzazione delle divise Alitalia vinto nel 1964, gli anni del jet set.

 

 

Quando Laura Biagiotti era diventata “la regina del cashmere”, conio di Modenese che l’aveva servito pronto al New York Times per uno di quei grandi ritratti promozionali in cui era, ed è tuttora, maestro, la griffe aveva già un rapporto consolidato con i grandi department store americani, e si stava specializzando in quello che è stato, per decenni, il suo core business: la maglieria di cashmere, declinata in ogni versione, e in prevalenza nel colore bianco. Pensando a Laura Biagiotti, visualizzavi un morbidissimo poncho in cashmere in tinta panna o rosso, il colore del marchio.

 

Con uno di quegli automatismi che noi giornalisti troviamo innanzitutto comodi, per inquadrare la stilista scrivevamo sempre che era stata la prima a sfilare in Cina, nel 1988, dimenticandoci però di aggiungere che cosa fossero la Cina e piazza Tien An Men “prima” di piazza Tien An Men, cioè un grande atto di coraggio, e una dimostrazione di abilità diplomatica. Questa donnina dalla voce acuta e nasale delle romane bennate, una delle pochissime italiane ad aver mai guidato un’azienda di moda che, come molti altri settori, è dominato dagli uomini, nel 1995 aveva replicato le incursioni nei fortilizi del pensiero antimodaiolo sfilando al Grande Teatro del Cremlino nella vecchia sede del Pcus, quando le donne russe avevano appena iniziato a riavvicinarsi alla moda occidentale respinta con la rivoluzione del 1917 e sceglievano griffe chiassose, lontanissime dalla sua.

 

A poco a poco, dopo la morte del marito nel 1996, Laura Biagiotti si era stabilizzata attorno al clamoroso successo mondiale della linea di profumi e in particolare della fragranza Roma, prodotta dal colosso Procter&Gamble che era il primo sostenitore delle sue sfilate. Chiusa anche la boutique di Milano, a rappresentarla in Italia era rimasta la vetrina in via Mario de’ Fiori, alle spalle di via Condotti. Viveva a Guidonia nel castello medievale Marco Simone, attorno al quale aveva sviluppato un meraviglioso campo da golf dove ti invitava sempre per un giro che non avevi mai il tempo di fare, lei per prima. Era la più grande collezionista mondiale di opere di Giacomo Balla: ne possedeva trecento, di cui quasi la metà saranno esposte fino alla metà di giugno alla Estorick Collection di Londra. Una di queste, il monumentale “Genio futurista”, era stato ospitato nella sala di rappresentanza di Palazzo Italia di Expo 2015.

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