Che fine ha fatto il clima? Non sono i giovani a dettare l'agenda politica del nostro tempo. Meglio così

Qualunque classifica sui temi che stanno a cuore a questa generazione mette al primo posto il climate change e le questioni ambientali in generale, temi che hanno trovato nei tre dibattiti presidenziali (quattro con quello fra candidati vicepresidenti) uno spazio pari a 5 minuti e 27 secondi.

New York. Il millennial tutti lo cercano, tutti lo vogliono, tutti lo profilano, lo lusingano, lo blandiscono, lo mettono su un piedistallo e come invasati gridano: “Sei tu il padrone del nostro domani! Dicci cosa pensare, oracolo!”. “I millennial decideranno le elezioni”, titolava l’Huffington Post, l’Atlantic ha insistito fino all’ossessione sulla retorica sandersiana della “rivoluzione politica dei millennial”, a lungo il tema ricorrente dell’analisi demografica dell’elettorato verteva sul comportamento dei giovani. Adesso al massimo si dice che i millennial saranno decisivi non per impatto positivo ma perché diserteranno le urne in massa, disgustati da non tanto e non solo da Donald Trump, ma dallo squadernarsi di uno spettacolo che non appartiene loro.

 

Qualunque classifica sui temi che stanno a cuore a questa generazione mette al primo posto il climate change e le questioni ambientali in generale, temi che hanno trovato nei tre dibattiti presidenziali (quattro con quello fra candidati vicepresidenti) uno spazio pari a 5 minuti e 27 secondi. Nessuno dei moderatori ha posto domande sul clima e a tirarlo fuori è stata Hillary Clinton, pescando nel cesto mentale che reca questa etichetta: “Cose che devo dire per tirare dalla mia parte gli elettori di Bernie Sanders”. Anche i diritti della comunità lgbt – che l’associazione Glaad raccomanda di chiamare lgbtq per non dimenticare i “queer”, il settimanale Time si è prontamente adeguato – sono passati in cavalleria. Le disuguaglianze sono state appena sfiorate, la lotta ai banchieri è il ricordo di una vecchia stagione con il sacco a pelo in un parco di New York, la legalizzazione della cannabis una faccenda marginale, gli abusi nei campus una crisi di settore, l’appropriazione culturale un concetto che la maggior parte degli americani ancora fatica ad afferrare.

 

La realtà racconta di un dominio incontrastato dell’immaginario dei baby boomer, e le freddezze intorno alla questione climatica ne sono la dimostrazione più chiara. Ai moderatori dei dibattiti presidenziali – e presumibilmente anche ai loro superiori guidati dalla bussola dello share – non interessa nulla delle calotte polari, ma tutti, nel tempo libero, ritengono sia importantissimo far sapere che è la questione decisiva del nostro tempo. Però nel frattempo tocca occuparsi delle cose che contano davvero, tipo le tendenze predatorie di un candidato e quelle corruttive dell’altro. I metodi della campagna, il ruolo forte, fortissimo dei vecchi media considerati bolliti e oramai disciolti in questa fase liquida, il ritorno a temi “vecchi” come il libero commercio e la globalizzazione, che per i giovani sono premesse implicite, mostrano che non sono i millennial a dettare l’agenda politica del nostro tempo. E molto probabilmente è un bene.

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